Steno e l’Italia del sorriso

Steno, al secolo Stefano Vanzina, lo scorso 19 gennaio avrebbe compiuto cento anni. Se ne è andato, invece, a soli settantuno anni, il 13 marzo 1988, lasciando un vuoto che nessuno ha ancora colmato nel variegato universo della commedia all’italiana. 

Per fortuna, però, anche grazie ai figli Enrico e Carlo, da oggi fino al prossimo 4 giugno sarà allestita a Roma, presso la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, una mostra dal titolo: “Steno, l’arte di far ridere. C’era una volta l’Italia di Steno. E c’è ancora”. 

No, non esiste più quell’Italia ingenua e spensierata dell’immediato dopoguerra, quell’Italietta felice, scanzonata, semplice e nella quale bastava una battuta di Sordi o di Totò per avvertire il profumo della ritrovata normalità dopo tanto orrore e tanta barbarie. Non c’è più quell’Italia in cui essere buoni non significava essere fessi, in cui anche il furbastro, in fondo, si arrangiava in maniera bonaria, in cui la cattiveria si limitava a pochi casi isolati e in cui quelle commediole scherzose, senza troppe pretese ma non per questo di scarso valore andavano per la maggiore, incontrando i gusti di un pubblico ancora disposto a lasciarsi illudere dal miraggio di un minimo di serenità. 

Oggi non potrebbe esistere uno Steno e, non a caso, pur seguendo le orme paterne, anche i figli si sono specializzati in un genere di comicità diverso: più esplicito, leggermente più commerciale, senza alcuno spazio o quasi per l’utopia e per quella sorta di romanzo dei buoni sentimenti che, invece, aveva sempre un posto di riguardo nella cinematografia del padre. 

Perché è l’Italia ad essere cambiata profondamente e, a mio giudizio, in peggio, al punto che oggi non c’è più posto per il garbo, la gentilezza, l’ironia raffinata e la sobrietà di un cinema che non pretendeva di ergersi a maestro di vita di nessuno ma che riusciva ugualmente ad esserlo, con toni briosi, con una leggerezza calviniana, con una gioia di vivere che, talvolta, era anche un riso amaro ma senza mai scadere nella volgarità o nel decadentismo. 

Senza dimenticare che, oltre ai sodalizi artistici con Totò e Alberto Sordi, tra i meriti di Steno va annoverato anche quello di aver lanciato alcuni esordienti di talento e di aver creato, insieme a Bud Spencer, i quattro gioielli del poliziesco comico in salsa napoletana della fortunata saga di “Piedone”.

Un galantuomo d’altri tempi, dunque: uno degli ultimi baluardi di un’Italia che, purtroppo, s’è perduta, a modo suo geniale e oggi giustamente ricordato come il sognatore appassionato e sincero che era e che continua ad essere nella memoria di tutti noi.

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