Boris El’Cin e la Russia del declino

Dieci anni fa ci lasciava Boris El’Cin, senza dubbio uno dei peggiori presidenti che la Russia abbia mai avuto.

Salito al potere in seguito alla dissoluzione dell’URSS e al golpe che, di fatto, costrinse Gorbačëv alle dimissioni, fu protagonista di un decennio di declino del Paese, fra abusi di potere, povertà diffusa e una drammatica perdita di dignità e prospettive che si riverberò inevitabilmente sul corso successivo di un universo costretto a fare i conti con il verdetto della storia e con le proprie infinite contraddizioni nonché con un caos dal quale è stato tutt’altro che semplice risollevarsi. E non che apprezzi minimamente i metodi di Putin, sia chiaro, ma quanto meno va dato atto all’attuale presidente russo di aver fatto uscire la Nazione dal clima di depressione e di irrilevanza nel quale l’aveva sprofondata un soggetto inadeguato e dannoso, le cui scelte hanno condotto un cardine degli equilibri internazionali fuori dai giochi per un tempo troppo lungo, convincendo Europa e Stati Uniti di poter fare a meno di un interlocutore invece essenziale. 

La presidenza El’Cin sarà ricordata come una delle fasi storiche più corrotte, più colme di delinquenza, più tristi e più pericolose che la lunga storia russa ricordi, come una stagione che nessuno da quelle parti rimpiange e come un’epoca di lacerante assenza, in cui la mancanza di un contrappeso in grado di esercitare a pieno titolo la propria potenza complessiva ci ha fornito una sensazione di onnipotenza schiantatasi nell’ultimo decennio contro il muro della sua inconsistenza anti-storica. 

El’Cin, dunque, merita di essere considerato alla stregua di un personaggio lesivo tanto per la Russia, che ha subito sulla propria pelle le conseguenze della sua inettitudine, quanto per tutto il resto del mondo, convintosi in quegli anni di poter fare a meno di un competitore imprescindibile e incapace oggi di accettarne il prepotente ritorno sulla scena globale. 

La normalità, tuttavia, è quella attuale, non quella di un distruttore degli equilibri internazionali, di un erede indegno di una vicenda politica ricca di contraddizioni ma, al tempo stesso, affascinante e culturalmente straordinaria, di un uomo che ha tradito il suo popolo e di colui che, come ovvia conseguenza, ha portato, per reazione, all’ascesa di un soggetto senz’altro autoritario ma quanto meno intenzionato a restituire credibilità e onorabilità alla propria gente. 

Un errore storico dell’Occidente, un atto di presunzione e un sopruso: questo è stato Boris El’Cin e per questa sciocchezza pagheremo, ancora a lungo, un conto piuttosto salato. Perché non si può pensare di assoggettare e ridurre quasi in schiavitù un popolo come quello russo: non lo hanno permesso a Napoleone, non lo hanno permesso a Hitler e non si vede perché lo avrebbero dovuto consentire ai nuovi padroni del mondo, oggi costretti a fare i conti con il dissolversi delle proprie illusioni e con una presidenza che costituisce l’89 del macrocosmo occidentale, lo spartiacque dopo il quale nulla sarà più come prima. E ricucire i rapporti con Mosca, qualunque sia la nostra opinione circa l’operato di Putin, potrebbe esserci di grande aiuto.

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