La priorità è chiudere con le larghe intese

ROMA – La fine delle intese più o meno larghe è una necessità. Prima avviene meglio è. Solo così sarà possibile iniziare a superare il ritornello “né di destra né di sinistra”, che sta diventando l’esercizio preferito in questa fase. Non a caso. 

Le larghe intese sono state l’equivoco di fondo di questa fase politica e il loro rimpicciolimento non ha migliorato le cose. Sono il prezzo per non avere convocato le elezioni anticipate quando il Governo Berlusconi si è dimesso nel 2011. Elezioni in quel momento, mettendo i conti in sicurezza, avrebbero consentito di fare i conti con il berlusconismo nelle elezioni, di chiudere veramente un’epoca. 

 

Avere scelto le larghe intese ha portato alla soppressione di fatto delle alternative politiche e ha allontanato dal voto e dalla politica una parte rilevante dei cittadini. Per di più la sconfitta elettorale del febbraio scorso ha creato un ripiegamento culturale e politico delle forze di sinistra coinvolte in questo infausto esperimento politico.  

Chiamare a scegliere tra alternative ravviva la partecipazione, l’interesse per la politica, non il contrario.

Le larghe intese non sono una parentesi e dopo tutto tornerà come prima, compresa la dialettica tra destra e sinistra, come viene raccontato. Non è così. I guasti delle larghe intese sono profondi, come lo è il sequestro delle decisioni che spettano agli elettori, oppure il ripiegamento culturale conseguente all’idea che un’alternativa politica ed economica non sarebbe possibile.  

 

In questi 2 anni di sostanziale continuità tra i governi Monti e Letta è andata in crisi l’alternatività politica, già traballante con Berlusconi per eccesso di subalternità al suo gioco. La politica è ora ridotta a mera tecnica di governo, a presunta ricerca dell’efficienza. 

Eppure la situazione sociale, come confermano i dati Istat più recenti, è peggiorata al di là di ogni pessimistica previsione. Il quadro è allarmante, l’arretramento sociale ed economico può essere paragonato ad un paese che è uscito da una guerra. Il dualismo sociale tra ricchi e poveri in Italia è drammatico ed è una delle cause della crisi e richiederebbe scelte in grado di dare speranza a chi oggi è alla disperazione o la vede avvicinarsi. 

Dopo 10 mesi di estenuante discussione sull’Imu le risorse impiegate per una sua riduzione temporanea quanto pasticciata potevano essere più utilmente impiegate per la ripresa e per l’occupazione. 

Avere fatto precipitare il confronto politico ai livelli attuali è un disastro che favorisce derive politiche e culturali preoccupanti. Il timore per l’affermazione di posizioni antieuropee nel prossimo maggio è più che giustificato. 

Renzi svolgerà una funzione positiva se rimetterà il confronto politico su binari di alternatività. 

Si insiste molto sul carattere bipolare che dovrà avere la prossima legge elettorale, ma è proprio questa situazione di melassa indistinta che mina il bipolarismo. Se Renzi darà una mano a superarla rapidamente contribuirà a restituire al paese un confronto tra alternative e questo sarebbe positivo, perfino nella probabile versione di alternative tra persone, più che tra destra e sinistra.

Il pericolo non viene solo dal vivacchiare, perché la vera prova, quella più difficile per l’Italia, inizierà nel 2015

Un pericolo formidabile per l’Italia a partire dal 2015 è l’entrata in vigore piena del Fiscal Compact. Il debito pubblico italiano oggi è a livelli mai raggiunti, sopra il 130 % del Pil perché il Pil è precipitato in basso, ha perso più del 10%. La “cura” del debito di Monti ha peggiorato la situazione già compromessa dalla coppia Berlusconi-Tremonti. La responsabilità di fondo degli irresponsabili Berlusconi e Tremonti è fuori discussione, ma Monti ha pensato bene di curare i conti inseguendo l’obiettivo dello scudo europeo, salvo scoprire che solo un suicida potrebbe chiederne l’applicazione per le vessazioni a cui dovrebbe sottoporsi. Senonchè l’impegno dell’Italia per il finanziamento del Salva stati (17% del Fondo) ha aumentato il nostro debito pubblico, sottratto risorse preziose, interessi compresi, che potevano essere impiegate per la ripresa economica e l’occupazione. 

Il combinato degli impegni presi con il Fiscal compact e della sostanziale stagnazione dopo la caduta vera e propria del Pil creeranno un passaggio molto stretto dal 2015. Come riuscirà l’Italia a ridurre il debito pubblico del 5 % l’anno senza crescita ? Si tratta di 50 miliardi all’anno. I vantaggi (se e quando ci saranno) di un’eventuale ripresa ricadranno sul nostro paese solo in parte infinitesimale perché la riduzione del debito – per questi accordi – ha la precedenza. Lo si è visto anche nella costruzione del fondo per ridurre le tasse, prima il debito, solo dopo la riduzione delle tasse. Così ingessato il nostro paese faticherà a reggere. E’ una verità scomoda, ma stupisce che ci sia omertà nell’evitare di rispondere alla domanda: che succederà all’Italia dal 2015 ? La priorità è rimuovere i vincoli europei per sostenere la ripresa e l’occupazione, mentre sul piano interno è necessario redistribuire il carico dei costi della crisi, impegno che nell’azione del governo Letta non esiste. 

La sinistra dovrebbe porsi l’obiettivo di essere il perno di un’iniziativa politica in grado di porre concretamente in campo un’alternativa a questa ingessatura che rischia di soffocare il nostro paese. Una ripresa competitiva ha bisogno di consenso, che è cosa diversa dalla soggezione all’imposizione dei vincoli europei ed interni e questo può esserci solo se c’è una prospettiva forte ed alternativa alla linea dell’austerità, che viene subita solo perché è accompagnata dallo spauracchio che altrimenti vi sarebbe il caos istituzionale ed economico.

Un passaggio politico di questa forza richiede una rappresentanza fortemente legittimata perché deve sostenere uno scontro in Europa e forzare una redistribuzione delle risorse a favore dei lavoratori e dei meno abbienti, dei poveri.

Duecento miliardi di euro del Pil annuo sono passati dal reddito da lavoro agli altri redditi (rendite, profitti, manager, ecc.). Occorre avere il coraggio di una scommessa forte, di una promessa di futuro diverso che inizia a vivere nell’oggi. Se questo fosse l’unico modello di sviluppo possibile, resterebbe solo uno spazio più o meno “compassionevole”. 

La vittoria di Renzi potrebbe essere un’occasione se contribuirà a uscire dalle acque stagnanti. 

Alfiero Grandi

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