Presidente Renzi di soli annunci si muore. Non siamo a Burlonia

 

ROMA – Presidente Renzi, di soli annunci si muore. E lei, se lo lasci dire, da quando si è insediato a Palazzo Chigi non ha fatto altro che annunciare riforme mirabolanti dell’universo-mondo, rivoluzioni copernicane in ogni ambito della vita sociale (dalla riforma della legge elettorale al superamento del bicameralismo perfetto, senza dimenticare fisco, mondo del lavoro, giustizia, pubblica amministrazione e molte altre ancora), cui però non ha ancora fatto seguito un solo provvedimento concreto.

Partiamo dal famoso Italicum, un testo, peraltro, estremamente discutibile e, in alcuni tratti, per la verità numerosi, di dubbia costituzionalità: che fine ha fatto? Appena insediatosi, aveva annunciato che la riforma della legge elettorale sarebbe stata approvata addirittura entro febbraio: siamo a maggio e il testo è stato approvato solo alla Camera, ben sapendo che al Senato i numeri sono diversi e soprattutto che, nel caso di una netta affermazione o anche di un convincente secondo posto del Movimento 5 Stelle alle Europee, una riforma del genere non converrebbe più a nessuno, tanto meno a lei, poiché sa benissimo che battere Berlusconi, di questi tempi, è una passeggiata di salute per chiunque ma fronteggiare lo scatenato populismo e la sfrenata demagogia grillina potrebbe rivelarsi un bel problema.

Tutti i guai provocati dall’incontro del Nazareno

Il guaio, presidente Renzi, è che accadrà esattamente questo e la colpa è in gran parte proprio sua: sì, sua perché è stato lei, con l’incontro al Nazareno dello scorso 18 gennaio, a resuscitare e trasformare nuovamente in un interlocutore politico un pregiudicato che solo due mesi prima era stato destituito dalla carica di senatore per manifesta ineleggibilità e che senza quel salvifico evento sarebbe lentamente scivolato nell’oblio, mentre falchi e colombe, ragionevoli e irriducibili si sarebbero contesi all’ultimo sangue le spoglie della fu Forza Italia. In seguito a quell’incontro, invece, l’ex Cavaliere non solo è tornato sulla scena da protagonista ma si è intestato anche il ruolo di padre nobile, di padre della Patria, di grande riformatore della Costituzione perché lei, commettendo l’irrimediabile errore di credersi più furbo, non ha aperto a Berlusconi solo per quanto riguarda la legge elettorale ma, più che mai, per quanto concerne le mitiche riforme costituzionali, annunciate da vent’anni e per fortuna fallite nel 2006 grazie a un provvidenziale referendum promosso da un vero padre della Patria quale Oscar Luigi Scalfaro.

Peccato che Scalfaro non ci sia più

Peccato che Scalfaro non ci sia più, il clima politico sia radicalmente mutato e oggi sia una parte della sinistra, o sedicente tale, con lei in testa, a rivendicare una parte consistente di quel pateracchio che sedici milioni di italiani contribuirono, otto anni fa, a disinnescare nelle urne: un tale obbrobrio che, all’epoca, quando ancora il berlusconismo era confinato a destra, una vera sinistra contribuì a contrastarlo con forza, includendo nella protesta anche la battaglia contro il Porcellum che ora si vorrebbe riproporre al cubo, con soglie di sbarramento sconosciute in Occidente e il rischio di escludere dalle assemblee democratiche milioni di elettori.

Il tutto, presidente Renzi, perché aveva capito benissimo, non essendo certo un ingenuo, che un eventuale riforma della legge elettorale sviluppatasi nel perimetro della maggioranza e aperta a un serio contributo del Movimento 5 Stelle avrebbe rafforzato tanto Alfano e il suo neonato partito quanto, soprattutto, il governo Letta; e lei sappiamo bene che non si è fatto eleggere segretario del PD per rimanere tale a lungo ma per tentare il prima possibile la scalata a Palazzo Chigi, al punto che qualche maligno ha avanzato il sospetto che, se non fosse arrivata la sentenza della Consulta a scardinare il Porcellum, saremmo tornati alle urne già a marzo, ovviamente col Porcellum che pure, a parole, aveva detto di voler cambiare.

Se Lei è un’aquila, Berlusconi non è un cretino

Peccato, però, che lei sia indubbiamente un aquila ma Berlusconi non sia un cretino e, dunque, sapendo benissimo che un eventuale successo delle riforme da lei proposte, avrebbe oltremodo favorito il Partito Democratico, causando una fuga di elettori da Forza Italia verso un nuovo leader carismatico, più giovane e meno compromesso, abbia pensato bene di calare sul tavolo il solito ostacolo insormontabile, ossia il presidenzialismo, inviso a una parte consistente del PD e oggettivamente insostenibile in un paese con la storia e le vicissitudini dell’Italia. Senza dimenticare la celebre riforma della giustizia: il vero sogno di Berlusconi, il quale sa benissimo che gli basta un piccolo accenno al tema per mettere a repentaglio l’intero pacchetto delle riforme, dividere gli avversari e guadagnare consensi, recitando la parte della povera vittima del sistema.

Un povero elettore di sinistra giustamente preoccupato

Pertanto, è chiara una cosa: le mitiche riforme non si faranno mai, su questo, purtroppo, ha ragione Grillo. E non si faranno perché, dopo le Europee, l’Italicum non converrà più a nessuno, a parte il Movimento 5 Stelle che però non può intestarsi un simile pastrocchio, e la riforma del bicameralismo perfetto farà, forse, in tempo a passare in prima lettura al Senato ma poi si arenerà, per il semplice motivo che ha ragione l’ingegner De Benedetti: in autunno, o più probabilmente in primavera, dopo il semestre europeo, si vota.

E così, il Partito Democratico si recherà alle urne senza aver varato una sola riforma consistente, con una riforma del mondo del lavoro che definire pessima è rivolgerle un complimento, con i sindacati sul piede di guerra, con gli statali in rotta verso Grillo, con i giovani disperati e senza futuro, con le coperture per gli ottanta euro ancora in alto mare e ignote per gli anni a venire, con il serio rischio di bocciature a raffica da parte degli organismi europei e con l’altrettanto serio rischio di stroncature della Consulta per quanto riguarda i sacrifici spropositati chiesti alle banche, per giunta nell’anno degli stress test dell’Eurotower, e persino alla RAI che, oltretutto, avanza un credito dallo stato di oltre due miliardi. Se a ciò aggiungiamo le divisioni interne, le lotte di potere, la mancata legittimazione popolare di Renzi e la sua innata capacità di crearsi un nemico al giorno, si capisce bene per quale motivo un povero elettore di sinistra sia leggermente preoccupato, stretto com’è nella morsa di uno scontro fra populismi complementari che rischiano di farci apparire agli occhi del mondo come una sorta di paese di Burlonia, incapace di rinnovarsi, di riformarsi e di esprimere una classe dirigente minimamente credibile.

 

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