Una notte a Gaza. Quando gli incubi diventano realtà

GAZA CITY —  Arriva presto la notte a Gaza e l’incubo inizia come una freccia che si pianta sul petto e inizia a insinuarsi fino al cuore. Mentre fuori il frastuono delle esplosioni e il sibilo delle bombe cadute dal cielo iniziano il concerto della morte, viene da chiedersi, perché io esisto e perché tutto ciò che mi circonda esiste. La testa fa brutti scherzi e la fantasia dettata dell’istinto della sopravvivenza prende il sopravvento, quasi fosse un’ancora di salvataggio che ti tiene ferma alla realtà, alla memoria, alla drammatica consapevolezza di ciò che sta scuotendo le anime.  

Ci si può addirittura sentire come l’ultimo sopravvissuto sulla faccia di questa terra, mentre da una navicella sbarcata sulla terra sono arrivati degli alieni  per distruggere tutto ciò che trovano sul loro cammino. Verrebbe voglia di urlare a squarciagola, ma la voce non esce. Come in un brutto sogno le parole del dolore, il grido di aiuto non trovano mai il fiato giusto, è una dura corsa alla ricerca di ossigeno che porti linfa vitale ai nostri polmoni. Si rimane pietrificati davanti a un evento al quale non è proprio possibile fuggire. Ma questo non è un sogno. I bambini, questa volta, urlano per davvero e i loro pianti si mescolano al sibilo delle bombe che continuiamo a cadere qui vicino, alle mura che crollano, ai pavimenti che scricchiolano come se le viscere della terra volessero inghiottire tutto da un momento all’altro. 

Resta solo che pregare, ma anche questo piccolo privilegio viene meno nel panico totale. Le lacrime scendono da sole, i denti si stringono in una improbabile morsa quasi si stesse ricevendo un pugno sullo stomaco, le mani sudate tremano senza sosta, la gola è arsa come il deserto. E poi il buio totale, i lampi di luce e ancora il rumore delle esplosioni che penetrano il cervello e lo dilatano. Non si può spiegare a parole cosa può succedere nella Striscia di Gaza se non si vivono questi attimi di puro terrore. E sono ancora attimi impercettibili di tempo senza spazio in cui risuona nella  mente ogni piccola gioia che la vita ha regalato. Segnali di un’esistenza precaria legata ogni giorno al filo di una morte che si avvinca sempre più, nell’indifferenza di un mondo antico che non sa più guardare, se non altrove. Sensazioni che ha spiegato molto bene Anas Qandeel, il ragazzo di 17 anni, che scriveva su Facebook prima che un razzo colpisse la sua casa e mettesse fine alla sua esistenza e ai suoi post che ben raccontavano le emozioni di una guerra vista dagli occhi di un’adolescente. 

Gaza un tempo racchiudeva molti significati, oggi significa solo morte. E ora la paura ti assale. Forse la prossima esplosione avverrà proprio qui, quel pezzo di ferro imbottito di esplosivo finirà proprio qui, da dove sto scrivendo queste poche righe. E anche la mia vita sarà diventerà solo un altro numero da inserire in un bilancio interminabile di uomini e donne, vecchi e bambini. Anch’io come loro vorrei solo dormire in pace. Addormentarmi tranquillamente in una silenzio assordante e fingere che tutto questo non sia mai accaduto.

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