Immigrazione. Case famiglia fuori controllo, nell’assenza di regole

ROMA – Spesso parlando di integrazione si può rischiare di scivolare in un campo minato, talvolta sconosciuto perfino dalle stesse istituzioni che avrebbero il compito di monitorare e controllare il fenomeno dell’immigrazione, in cui ultimamente regna il caos.

Da un lato i continui sbarchi a cui spesso gli altri Paesi europei voltano le spalle, dall’altra la gestione dei migranti che sbarcano sulle coste italiane, dei richiedenti asilo politco e soprattutto dei minori non accompagnati. Un affare dalle uova d’oro che, come è emerso recentemente dall’inchiesta di Mafia capitale, ha determinato lauti guadagni ad alcune cooperative, oggi oggetto d’inchiesta della Procura di Roma, ma ne ha fatte morire altre che, al contrario, questo lavoro lo portavano avanti da anni come una vera e propria vocazione.

E’ quanto accaduto alla Casa Famiglia Provvidenza, una cooperativa romana realizzata nel lontano 1981 da una coppia di coniugi che, tornati da un’esperienza di volontariato in Ecuador, decisero di dare una mano ai minori in difficoltà.

Una struttura caritatevole e volontaria, che all’epoca era collegata direttamente con i salesiani ed era a disposizione anche di giovani vittime della droga e della delinquenza. L’obiettivo era quello di creare un percorso educativo e formativo che potesse reintegrare questi ragazzi nell’ambito sociale e lavorativo.

Cosa che di fatto avvenne, in quanto molti di loro riuscirono nel loro percorso di recupero inserendosi concretamente nel mondo del lavoro.

Epiloghi che misero in luce l’affidabilità e la credibilità di questa struttura tra le prime nate a Roma. Per questo nel 1989 partono i progetti educativi di reinserimento dei minori, che venivano affidati alla Casa Provvidenza direttamente dal Tribunale dei Minori. Subito dopo, negli anni ’90, i Comuni attraverso i loro dipartimenti cominciano ad elargire delle diarie per la gestione e per il mantenimento dei minori nelle strutture. Strutture che, a partire dagli anni 2000, devono essere accreditate dalla Regione Lazio e che di fatto dovrebbero subire un controllo e un monitoraggio da parte delle stesse istituzioni, sia dal punto di vista economico che dell’ospitalità.

Una necessità determinata dai continui flussi migratori che raggiungono l’Italia, tant’è che il Comune di Roma accredita tutte le strutture per minori presenti sul terriotorio, (circa 80 tra la capitale e la provincia) e fissa delle regole inserendo degli educatori professionali, uno ogni 3 minori. E’ verso il 2003 e nel 2004 che l’ondata dei richiedenti asilo politico, diventa un fenomeno incontrollabile, dove spesso anche le persone che hanno di gran lunga superato la maggiore età vengono fatti passare per minorenni. E’ questo il periodo dell’ondata degli afghani. Ed è in questo frangente che il fenomeno dell’immigrazione diventa un business per i gruppi criminali, visto che per ogni migrante minore vengono sborsati 70 euro al giorno per minore alle cooperative. Denaro che deve essere utilizzato per garantire il mantenimento e il percorso educativo del minore . Un percorso, quest’ultimo, che pone seri dubbi da parte di alcuni alcuni operatori del settore, poichè rischia di snaturare non solo il rapporto affettivo che si viene a consolidare nella Casa famiglia, ma anche quello di una efficace integrazione sociale.

Accade così che aumentano i flussi migratori, mentre per via dei tagli al welfare gli assistenti diminuiscono, oggi ce ne sono 1 per ogni 200 minori. Una proporzione davvero ridicola.

Ma non solo. Da una parte il business dove cooperative di dubbia professionalità, come emerso dall’indagine romana, incassano i soldi noncuranti delle sorti dei richiedenti asilo, dall’altra strutture serie e di comprovata professionalità come Casa Provvidenza che volontariamente sospendono l’attività denunciando mancanza di regole e soprattutto di controlli da parte delle istituzioni preposte.

Indicativa la missiva che Carlo De Nardi, direttore della struttura, ha inviato nell’aprile 2014 all’Unità Operativa IVX dipartimento di Roma Capitale, all’assessore dei servizi sociali, al sindaco Ignazio Marino, nonchè al ministro del lavoro Giuliano Poletti. Una lettera in cui De Nardi denuncia , non solo l’assenza delle istituzioni, ma anche la mancanze reale dell’accertamento di provenineza dei richiedenti asilo. Parla di una vera e propria emergenza di una gestione ormai fuori controllo da parte delle istituzioni sul piano economico, per capire esattamente come e dove vengono spesi i soldi versati nelle case famiglie. Insomma una gestione dei minori, senza alcuna progettualità, in cui diventa impossibile muoversi in assenza di regole pratiche volte alla buona convivenza e alla fattiva integrazione in un percorso “controllato” e “condiviso” tra fruitori e operatori sociali.

“Molti di questi minori sono, inoltre, inseriti in attività illecite e usano le strutture solo come copertura o come rifugio per svolgere meglio le proprie attività”, denuncia De Nardi nella missiva.

Insomma in un contesto come questo, senza regole, diventa davvero difficile e soprattutto pericoloso, prestare la propria opera con l’intento di rendere un positivo servizio alla società civile. I raccapriccianti episodi, come aggressioni contro gli operatori, che si sono verificati nella Casa Provvidenza sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno ormai degenerato. Da una parte le istituzioni del tutto assenti, dall’altra giovani migranti, molti dei quali hanno capito perfettamente il meccanismo vizioso dell’ospitalità, tanto che – come è successo in taluni casi – molti giovani vedono la fuga come un escamotage per arrivare in un altro Paese senza che vi sia il reale rischio di lasciare quello di origine.

L’effetto non è quello di non produrre integrazioni con il paese ospitante, bensì quello di aumentare l’isolamento sociale tra gruppi di diversa etnia e paese, i cui drammatici risultati saranno visibili a breve.

Insomma Roma non si sta dimostrando all’altezza. E qualcuno ha pensato pure di sfruttare la situazione creando ad hoc delle cooperative di casa famiglie per incassare palate di soldi pagate da ignari contribuenti, come raccontano le ultime cronache. Nel frattempo Carlo De Nardi attende ancora una risposta dalle isitituzioni dopo 8 mesi. Nel contenuto della missiva si leggono anche delle proposte utili  scritte da chi conosce approfonditamente la questione. Ma evidentemente le buone pratiche non appartengono più a questo Paese.

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