Meglio giardino zoologico che bioparco. Intervista a Spartaco Gippoliti

ROMA –  L’occasione è una fiction tedesca a sfondo naturalistico. La veterinaria protagonista, dopo una lunga assenza dai luoghi di nascita (Cornovaglia), comunica ad un amico che è stata chiamata a lavorare nel locale Bioparco. … Bioparco !? 

Sapendo bene che nel Regno Unito non esiste nessuna istituzione zoologica con quel nome e che alcuni giardini zoologici di fama internazionale sono stati ribattezzati solo recentemente “Bioparco” (Roma e Valencia), decidiamo di chiedere lumi ad un amico (collega) di lunga data: Spartaco Gippoliti. Zoologo e membro della CITES, commissione scientifica dedicata al commercio nazionale e internazionale di specie minacciate presso il Ministero dell’Ambiente; si occupa da sempre di giardini zoologici ed è certamente il massimo esperto italiano sull’argomento.

“Nel nostro paese, conta più il titolo del contenuto”, esordisce e prosegue Gippoliti: “Nella legislazione nazionale ed internazionale, la parola zoo individua strutture che si dedicano all’allevamento di specie animali selvatiche in condizioni controllate,  assolvendo a funzioni educative, di ricerca e di conservazione della biodiversità. Ovviamente queste strutture possono chiamarsi nella maniera più disparata: safari park, casa delle farfalle, acquario, delfinario, parco faunistico e anche bioparco”. Alla nostra domanda se il termine bioparco rappresenta una evoluzione del concetto di zoo, Gippoliti prosegue “ovviamente la mia risposta è no!”.  Ricordiamo che secondo alcuni al termine bioparco andrebbe associata la condivisione dello stesso habitat, o meglio, della stessa ambientazione di habitat tra visitatori e animali ospitati. “Sopratutto noi romani,” prosegue Gippoliti, “dovremmo sempre ricordare che il primo progetto di uno zoo completamente immersivo risale al 1909. Fu realizzato a Roma da Carl Hagenbeck  quando, nel 1911, aprì il Giardino Zoologico. Nella loro purtroppo scarsa conoscenza della storia di queste strutture, i moderni bioparchi e i loro uffici della comunicazione dimostrano anche una scarsa conoscenza degli zoo propriamente detti”. Intuiamo che il termine zoo sia meno trandy del termine bioparco, ma che il nome di per se non garantisce sulla qualità della struttura. Chiediamo allora a Gippoliti qual’è la base su cui giudicare la qualità di uno giardino zoologico: “Come un qualsiasi museo moderno, già il progetto architettonico deve sottintendere un indirizzo culturale, scientifico e di conservazione chiaro. La cura e la gestione degli animali deve essere affidata ad uno staff specializzato che, oltre ad includere il veterinario (esclusivamente per gli aspetti sanitari, NdA),  deve  prevedere curatori e keeper esperti che collaborino nella rete internazionale degli zoo. Il messaggio culturale è di fondamentale importanza in quanto, anche partendo da una singola specie, l’obbiettivo è e resta sensibilizzare i visitatori verso la conservazione di interi ecosistemi che sono anche, non dobbiamo dimenticarlo, luoghi geografici e socio-sistemi abitati da milioni di persone. In fondo, a ben pensare, il sistema nazionale degli zoo licenziati secondo il DL 73/2005 dovrebbe rappresentare a regime una sorta di expo permanente dedicata alla conservazione della biodiversità planetaria e che nel 90% dei casi è a costo zero per lo Stato”.

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