Il proporzionale, il M5S e il bisogno della politica

Mi rendo conto che non sia il momento più adatto per occuparsi di politica interna; oltretutto, in questa fase, ho deciso di ridurre al minimo i miei interventi in tal senso, proprio per evitare di alimentare il fastidioso chiacchiericcio che purtroppo caratterizza questa stagione d’attesa. Fatto sta che oggi si riunisce a Ivrea quel bizzarro soggetto politico che è il M5S, ufficialmente per rendere omaggio alla memoria di Gianroberto Casaleggio, scomparso un anno fa, molto probabilmente anche per accreditarsi agli occhi di un certo mondo del potere, quello vero, che fino a qualche tempo fa sarebbe stato impensabile ritrovare al cospetto di una compagine nata con il preciso obiettivo di smantellare i poteri forti e di sovvertire l’ordine costituito. 

Non a caso, alcuni autorevoli commentatori parlano già di terza fase del Movimento: dopo la stagione girotondina delle origini e la presa del potere del giugno scorso con le prestigiose vittorie di Roma e di Torino, ecco ora la stagione dell’establishment, ossia del movimentismo che si fa casta o, per meglio dire, che comincia a dialogare con quei mondi e quei poteri che fino a poco tempo fa, come detto, almeno a favor di telecamera, denunciava e disprezzava. 

C’è da preoccuparsi? Assolutamente no; anzi, c’è da apprezzare il realismo del figlio di Casaleggio e di quella parte del mondo grillino che si sta finalmente rendendo conto di quanto sia necessario, quando si coltivano ambizioni di governo, farsi carico delle esigenze della società nel suo complesso, tenendo insieme l’alto e il basso, il precario e il presidente dell’ISPI, l’esodato e il CEO di Google, il mondo dell’informazione e quello delle banche, della finanza e dei poteri economici nel loro complesso. 

Vien voglia di aggiungere che questo può essere considerato uno dei tanti meriti del ritorno al sistema proporzionale nonché la ragione principale per cui va difeso e custodito a lungo. L’esaurirsi della triste stagione del maggioritario, delle coalizioni forzose e delle alleanze costruite a tavolino che si squagliano come neve al sole non appena varcare le porte del Parlamento, infatti, restituisce centralità e prestigio ai corpi intermedi e a tutti i numerosi segmenti che compongono la nostra società, ridando voce e rappresentanza ad una serie di universi che quest’illusione malata di poter essere autosufficienti aveva confinato ai margini, con la drammatica conseguenza di un peggioramento della qualità legislativa e di una conflittualità politica e sociale che ha causato lo sfiancamento di un tessuto civico già provato dalla crisi e dal senso di incertezza che essa ha provocato. 

Il punto sarà ora capire come faranno i vertici della suddetta compagine a spiegare questa salutare svolta alle frange dure e pure del proprio elettorato: gli stessi che per anni hanno dato del massone a chiunque, gli stessi che sostengono che l’uomo non sia mai andato sulla luna, gli stessi secondo cui bisogna dire no a qualunque opera pubblica, gli stessi, per dirla in breve, che non possiedono alcuna cultura di governo e che guardano con sospetto la normalizzazione di un soggetto politico che o riuscirà a diventare un partito come tutti gli altri, e possibilmente migliore, o sarà a destinato a vincere le elezioni e poi ad implodere, non essendo stato in grado di evolversi dalla condizione di gruppo di pressione a quella di attore in prima persona del quadro istituzionale. 

Diciamo che analizzando i nomi di alcuni possibili ministri del futuro esecutivo pentastellato vien da domandarsi come possano coesistere nello stesso consiglio dei ministri un atlantista affermatosi nel milieu culturale della Trilateral come Paolo Magri e un filo-putiniano come Manlio Di Stefano; senza dimenticare le pulsioni terzomondiste del possibile ministro degli Interni, Di Battista. 

Diciamo, dunque, che il M5S sta finalmente iniziando a capire di aver bisogno della politica e delle sue regole, a cominciare da un sano processo di mediazione e dal sacrosanto coinvolgimento di mondi distanti dal proprio ma non per questo meno affascinanti e utili per rendere più valida ed inclusiva la proposta che si vuole presentare al Paese. 

Sarà dura convincere i più scalmanati che questo percorso avrebbe bisogno anche dell’accantonamento della distopia orwelliana di governare da soli, magari sfidando il Parlamento o lasciandosi andare alla catastrofe delle maggioranze variabili a seconda degli argomenti; così come sarà dura coniugare il costruttivo convegno odierno a Ivrea con le sirene della democrazia diretta e della rete onnipotente da cui dipendono i destini della comunità e del Paese. 

Per fortuna, pare che questo ircocervo che continua a negare l’esistenza di destra e sinistra e a palesare una miriade di ambiguità, tanto utili a conquistare voti in campagna elettorale quanto zavorranti al momento di assumersi una qualunque responsabilità di governo, per fortuna pare voglia provare davvero a darsi un profilo credibile. 

L’auspicio è che non subisca il fascino di tutti quegli editorialisti che lo hanno considerato sinora il paria della politica italiana, salvo lasciarsi andare a repentine conversioni sulla via di Damasco nel momento in cui hanno avuto la quasi certezza, consultando i vari sondaggi, che al prossimo giro avrà la maggioranza relativa. L’ultimo che si è lasciato sedurre dalle suadenti voci dei “laudatores” ha firmato in tre anni il proprio suicidio politico, al punto che il prossimo 30 aprile vincerà probabilmente le primarie del PD per poi archiviare da solo la propria mesta parabola.

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