Ottone, Boncompagni e l’Italia che se ne va

Una Pasqua triste per il nostro Paese.

Ci hanno lasciato, infatti, due protagonisti straordinari del nostro panorama culturale: Piero Ottone, il direttore che spostò a sinistra il Corriere della Sera, e Gianni Boncompagni, l’uomo che, insieme ad Arbore, trasformò il cazzieggio in un’arte, rivoluzionando la tv e regalandole una levità, una spensieratezza e una ventata di novità che tuttora vengono considerate, a ragione, una piccola, grande rivoluzione.

Si può dire che fossero uno l’antitesi dell’altro: tanto Ottone era sobrio, pacato e misurato fin nelle virgole quanto Boncompagni (scomparso all’età di ottantaquattro anni) era brioso, sciolto, pieno di vita, capace di condurre la televisione nel Ventunesimo secolo e in grado di scoprire nuovi talenti e valorizzarli nonché di sperimentare nuovi format, nuovi linguaggi e finanche trovate di un’irriverenza ai limiti della sfrontatezza come, ad esempio, il famoso auricolare della Angiolini, praticamente teleguidata dall’autore di “Non è la Rai”.

E la Angiolini, a breve quarantenne, partita con un ruolo da ragazzina presuntuosa e malata di protagonismo e prestatasi alla perfezione al contesto della tv commerciale, grazie a quella scuola e ad una gavetta tutt’altro che semplice e, anzi, particolarmente severa e formativa, è diventata negli anni una discreta attrice, ormai matura e in grado di interpretare ruoli di spessore assai maggiore rispetto alla parte dell’adolescente eccentrica in cui si cimentava all’inizio. 

Se tutto ciò è stato possibile è perché Boncompagni, anima imprescindibile del sodalizio con Arbore, ha saputo rendere comici finanche i luoghi comuni, inventando una miriade di personaggi e mettendo a nudo, con il suo estro garbato e inimitabile, i nostri difetti, i nostri vizi e anche le nostre ipocrisie. 

È sopravvissuto al passare degli anni, si è saputo sempre rinnovare ed è giunto, dunque, alla fine dei suoi giorni con lo stesso entusiasmo degli esordi, come un bambino mai davvero cresciuto, come un adolescente fra le adolescenti che aveva contribuito a lanciare ma, soprattutto, come un uomo di notevole esperienza, diremmo quasi un mostro sacro, che tuttavia non si è mai dato arie, conservando fino all’ultimo la propria genuinità e uno sguardo colmo d’incanto sul mondo e sulle sue vicissitudini. Sarà ricordato, insomma, come un genio senza tristezza, al massimo velato da quel tocco di malinconia che, il più delle volte, coincide con la saggezza ed il talento di chi sa che non esiste nulla di più serio di una risata. 

Tornando a Ottone, venne chiamato a dirigere il Corriere negli anni Settanta, quando Giulia Maria Mozzoni Crespi, aristocratica milanese in grado di comprendere il corso della storia, gli affidò il quotidiano con lo scopo di assecondare e sostenere una stagione di riforme che, al netto della barbarie che insanguinò l’Italia in quel decennio, è considerata comunque, non a torto, una delle migliori di sempre.

Ottone venne chiamato per orientare il Corriere su posizioni meno conservatrici, tanto che Indro Montanelli, dissentendo da questa linea, entrò in contrasto sia con il direttore che con la proprietà, venne licenziato e, nel ’74, fondò il Giornale, portando con sé alcuni redattori che dissentivano ugualmente dalla visione progressista che caratterizzava il nuovo corso di via Solferino. 

Negli ultimi anni, Ottone ha scritto per Repubblica e tenuto una rubrica sul settimanale il Venerdì, non facendo mai mancare il suo lucido parere, le sue intuizioni e la sua scrittura incisiva e profonda, in grado di tratteggiare in poche righe qualunque avvenimento. 

Amava il mare e la villa di Camogli e lì se ne è andato, a novantadue anni, al termine di un’esistenza esemplare e foriera di soddisfazioni per sé e per coloro che hanno avuto il privilegio di lavorarvi insieme, apprezzandone sia la competenza sia, e non è poco, il piglio decisionista ma quasi sempre rispettoso delle opinioni altrui. 

Una Pasqua triste, dunque, per un’Italia che se ne va e non viene sostituita, almeno apparentemente, da generazioni capaci di raccoglierne il testimone ed ereditarne la grandezza.

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