Acqua minerale. Ecco cosa dovremmo sapere

ROMA – L’acqua è una risorsa fondamentale alla vita e, come tale, deve essere tutelata al meglio, non solo con comportamenti idonei e tecnologie adeguate, ma anche con norme chiare che ne regolino l’utilizzo e permettano di controllarne la qualità.

Nella fattispecie, nel campo della qualità dell’acqua “da bere”, esistono in Italia leggi che regolano le concentrazioni di “limite massimo ammissibile” (DM del 29.12.2003) per le acque minerali, i cui valori, in qualche caso, si discostano sensibilmente dalle concentrazioni ammesse per le “acque destinate al consumo umano” (DLgs 31/2001), che vengono definite testualmente come “le acque trattate o non trattate, destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande o per altri usi domestici, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o contenitori” (art. 2, comma 1, lettera a).

Il fatto che esistano due decreti che definiscono con delle discrepanze importanti i limiti di ammissibilità per le acque minerali in bottiglia, e per quelle per uso potabile, derivanti dagli acquedotti, induce ad avere qualche perplessità sulla reale funzione di salvaguardia della salute umana che dovrebbero esercitare queste norme. Se una certa dose di un elemento è dannosa per la salute lo sarà sempre a prescindere dalla categoria merceologica dell’acqua in cui si trova.

Una simile distinzione potrebbe trovare una sua giustificazione se si facesse solo un uso terapeutico delle acque minerali, e quindi limitato nel tempo e nelle quantità come realmente avveniva all’inizio del secolo scorso.

La realtà attuale dimostra che il consumo di acqua in bottiglia nel nostro Paese è ormai tutt’altro che occasionale (circa 200 litri/anno pro-capite, per un totale di circa 12 miliardi di litri), per cui ogni incoerenza negli strumenti legislativi dovrebbe essere evitata definendo in maniera univoca le concentrazioni, o meglio gli intervalli di concentrazione, ammissibili per tutti gli elementi potenzialmente tossici, ponendo la massima attenzione nell’analisi delle conseguenze nutrizionali e sanitarie delle scelte operate.

Nella sostanza le norme dovrebbero essere adeguate alla realtà della nuova situazione dei consumi, considerando l’uso smisurato che si fa delle acque imbottigliate in Italia, e dovrebbero mirare, primariamente, alla salvaguardia della salute dei consumatori piuttosto che alla quadratura dei bilanci economici delle società che imbottigliano le acque minerali.

Di recente, importanti dati sulle caratteristiche delle acque minerali in bottiglia commercializzate in tutto il continente europeo sono stati ottenuti grazie al Progetto EGG (European Grounwater Geochemistry), al quale hanno partecipato Ricercatori di 40 Paesi Europei. Le attività del progetto EGG sono state coordinate e condotte nei singoli Paesi dai membri dell’EuroGeoSurveys Geochemistry Expert Group, a cui ha afferito per l’Italia un gruppo di ricerca (Università di Napoli Federico II, Bologna, Cagliari e Sannio) da me coordinato, su mandato dell’Ispra (ma con risorse zero).

Il progetto ha permesso di effettuare le analisi, a costo zero, a Berlino, presso i laboratori del Servizio Geologico Tedesco (BRG), della maggior parte delle acque in produzione e vendita, presenti sull’intero mercato europeo, limitatamente al periodo di raccolta dei campioni (2008-2009) e delle acque da acquedotto, per l’Italia (prelievo dei campioni effettuato nella prima metà del 2010) di quasi tutti i capoluoghi di provincia (157 campioni di 105 province su 111), per determinare parametri quali durezza, pH, conducibilità elettrica e, con differenti metodi analitici, la concentrazione di un elevato numero di elementi chimici e ioni (69).

Dai dati analitici e dalla loro elaborazione, sono emerse delle peculiarità per ciascuna acqua, di acquedotto o in bottiglia. In alcuni casi, per acque imbottigliate da sorgenti nella aree vulcaniche Campane e Laziali, sono stati individuati taluni elementi (es. alluminio, arsenico, berillio, uranio) che, a causa delle loro concentrazioni, potrebbero avere effetti negativi sulla salute umana, pur avendo una origine puramente naturale correlata alle caratteristiche geologiche degli ambienti in cui le acque vengono accumulate o transitano prima di sgorgare in superficie ed essere captate.

Gli elevati tenori di questi elementi tossici, però, pur non essendo determinati da attività antropiche, andrebbero comunque abbattuti in fase di produzione se distribuiti o attraverso imbottigliamento come acque minerali oppure attraverso acquedotti.

Un discorso dettagliato meritano i contenuti di Nitriti e Nitrati nelle acque. Il valore limite imposto per i Nitrati dalla legislazione italiana è di 45 milligrammi per litro (mg/l) per le acque minerali, ridotto a 10 se sono destinate all’infanzia, mentre per le acque potabili (rubinetto) viene portato a 50 mg/l. Per i Nitriti i limiti sono molto più bassi: 0,02 mg/l per le acque minerali e 0,5 mg/l per le acque potabili. Tutte le acque minerali analizzate hanno un contenuto di Nitrati al di sotto di 45 mg/l, ma il 10 per cento supera il valore stabilito per il consumo da parte dei bambini. I valori più alti si riscontrano nelle acque minerali del nord del Lazio, del centro-nord della Sardegna, del sud della Sicilia e dell’Italia nord-orientale, e sono probabilmente dovuti all’uso intensivo di fertilizzanti e concimi in agricoltura. Le acque con concentrazioni di Nitrati superiori a 10 mg/l dovrebbero riportare sull’etichetta, contrariamente a quanto si verifica, la dicitura: «non adatta ai neonati».

I neonati possono infatti subire effetti negativi, derivanti dall’assunzione di acqua contenente alte concentrazioni di Nitrati, in quanto la trasformazione nell’organismo dei Nitrati a Nitriti causa l’ossidazione dell’emoglobina a metaemoglobina, incapace di legare ossigeno e trasportarlo a organi e tessuti.

Ciò può condurre alla blue baby syndrome, o metaemoglobinemia, che si manifesta con lo sviluppo di una colorazione blu della pelle, e nei casi di prolungata esposizione, con problemi cardiaci e respiratori e morte. Più del 60% delle acque analizzate ha un contenuto potenziale di Nitriti al di sopra del limite indicato dalle direttive europee per le acque minerali; il 10% supera il limite stabilito dalle direttive italiane ed europee per le acque potabili; e cinque campioni superano i valori guida dell’EPA.

In ogni caso, tutte le acque minerali analizzate hanno concentrazioni inferiori al valore indicato dalle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Un altro aspetto della ricerca ha riguardato la verifica dell’influenza del materiale del contenitore delle acque minerali, attraverso le analisi di alcune marche confezionate sia in PET che in bottiglie di vetro. I risultati indicano che le acque imbottigliate in vetro presentano concentrazioni più elevate, sia pure non critiche, di alluminio, cobalto, cromo, rame e altri, rispetto alle corrispettive acque confezionate in PET.

Queste ultime presentano invece concentrazioni più elevate di antimonio rispetto a quelle in vetro. Da ciò si deduce che é il vetro a cedere i metalli all’acqua, considerato che il tappo metallico di chiusura é sempre dotato di un sottotappo in polietilene che lo isola dal contenuto.

La concentrazione più alta di antimonio nelle acque delle bottiglie in PET é causata dalla cessione dell’elemento da parte del contenitore, perché nel processo produttivo del PET si usa ossido di antimonio come catalizzatore. Va, comunque, sottolineato che il rilascio di questi metalli nelle acque minerali é molto limitato – ben al di sotto dei valori stabiliti dalle linee guida – e non dovrebbe creare alcun pericolo per la salute umana.

I dati confermano una generale buona qualità dell’acqua di acquedotto, con alcune eccezioni messe in evidenza nelle pubblicazioni scientifiche (vedi nota), mentre per le acque minerali in bottiglia sono emerse delle criticità, dovute essenzialmente alle carenze legislative sopra richiamate.

Infatti, le norme attualmente in vigore tralasciano, piuttosto misteriosamente, elementi minori e in traccia nocivi alla salute umana. Questo è il caso, ad esempio, dell’uranio e del berillio, le cui concentrazioni non sono regolate da nessuno degli strumenti legislativi in vigore in Italia.

I valori guida dell’OMS, potrebbero costituire la base per uniformare gli attuali limiti previsti nelle norme italiane, integrando le stesse norme con dei limiti di ammissibilità per gli elementi tossici ancora non considerati. Gli studi effettuati in ambito EuroGeoSurveys dimostrano, una volta di più, l’importanza di strutture di ricerca indipendenti che forniscano dati e input per una migliore salvaguardia della salute umana, ma anche per permettere agli operatori del settore e in particolare al mondo imprenditoriale, di offrire prodotti migliori sul mercato nazionale e internazionale.

Condividi sui social

Articoli correlati