Napoli: De Magistris avversario di se stesso

ROMA – Prima analisi amara, autobiografica: “Sono andato via nel 1996, subito dopo la laurea, non tanto per insofferenza verso la città, quanto per bisogno di costruirmi una prospettiva”.

Seconda analisi amara, sociologica, riferita ai pochissimi amici storici che si sono potuti permettere il lusso di rimanere a Napoli in quanto avevano delle attività familiari alle spalle: “Una costante è che ti raccontano una città che ha perso quelle citazione che noi abbiamo conosciuto negli anni ’90, sembra un luogo piatto, senza cose da fare… un’altra costante è che tutti quelli che rimangono hanno sviluppato una specie di retorica dell’eroismo, ti dicono che sono rimasti perché vogliono gare qualcosa per la città”: a parlare così è Pietro Merlino, classe ’72, avvocato in uno studio legale internazionale e residente a Roma, dopo un lungo pellegrinaggio in giro per il mondo, intervistato qualche settimana fa dal settimanale “Pagina 99”.

E sempre a “Pagina 99” Roberto Marone, classe 1983, fondatore a Milano di un locale molto frequentato in orario aperitivo-serale, ha raccontato: dei miei amici di un tempo, a Napoli ne saranno rimasti “due su cinquanta, tutti e due impiegati pubblici”, in quanto “negli ultimi quindici anni a Napoli non è iniziato niente in nessun ambito, hanno aperto solo un sacco di friggitorie”. E ha aggiunto: “A Napoli i genitori dei miei amici facevano tutti lavori pubblici, a Milano, all’università, nessuno, e questo dice molto del dinamismo di una società… Per me ha più colpe la borghesia napoletana di sinistra, conservatrice, che la camorra, le forze migliori di una città fanno crescere, dalle peggiori non mi aspetto niente… Milano si è risollevata perché la borghesia di destra e di sinistra ha collaborato su progetti economici e ha tirato fuori delle cose”.

Infine, ancora a “Pagina 99”, Dario Pappalardo, classe 1978, oggi giornalista delle pagine culturali di “Repubblica”, ha spiegato: “A Napoli ci sono molte città che non comunicano, è molto divisa per ceti sociali, io non ero né di una parte né di un’altra e mi sono trovato un po’ in mezzo, ho visto sia l’alto che il basso, me ne sono andato quando le signore in pelliccia di via dei Mille avevano ‘Gomorra’ sotto il braccio ed è stato forse il momento di massima comunicazione tra i due estremi… Colpisce che la città sia così raccontata e piena di luoghi comuni universali ma per certi versi impenetrabile agli stessi napoletani”. Non solo: “Se vado a Napoli non so con chi uscire, gli amici non li trovo. Magari quando torni vedi le cose buone, ma se tornassi a viverci i problemi sarebbero gli stessi, il senso dello stare a Napoli non cambia, se tu prendi un libro degli anni ’50 sembra che ti racconti la città di oggi… una città dolente compiaciuta di esserlo, questo sentirsi perennemente sudditi, incapaci di cambiare il proprio destino”.

Napoli, dunque, come città da abbandonare non più subito dopo l’università ma addirittura appena terminato il liceo (è la differenza tra Pietro e Roberto), per poi tornarvi, magari in vecchiaia, e viverla da turisti, dopo aver condotto l’intera vita adulta e lavorativa altrove.

Napoli come città di apolidi, come città di soggetti che, per dirla con Merlino, sono “individualisti fino al midollo, incapaci di fare sistema”.

A poco servono, a quanto pare, i proclami di Renzi sullo sbarco dei colossi Apple e Cisco: i colossi non restituiscono dignità a un tessuto sociale messo in ginocchio da una mutazione genetica radicale, con la crisi della manifattura, un netto calo demografico (dai 3,3 figli per coppia della fine degli anni Sessanta all’1,3 di oggi, il che – come si legge nell’analisi di Enrica Morlicchio ed Enrico Rebeggiani, apparsa sull’ultimo numero della rivista “il Mulino”, ha fatto precipitare la Campania al tredicesimo posto su scala nazionale), la speranza di vita più bassa d’Italia (78 anni per gli uomini e 82 per le donne, contro la media nazionale rispettivamente di 80 e 85) e un senso di pesantezza, di obsolescenza e di arretratezza che grava sulle prospettive presenti e future della città e sulla percezione del domani da parte dei suoi abitanti. 

Questi sono i veri avversari con cui deve fare i contri De Magistris, il quale, va detto a scanso di equivoci e al netto di qualche uscita da Masaniello, non e stato affatto un cattivo sindaco e, soprattutto, non ha alcuna alternativa all’altezza.

A Napoli, infatti, dopo l’esaurimento della spinta propulsiva del centrosinistra e la consunzione del centrodestra, dal 2011 la sfida è tra il “sindaco di strada”, come ama defiinirsi De Magistris, e l’imprenditore Gianni Lettieri; tutto il resto è pura testimonianza.

Valeria Valente, giovane turca sostenuta alle primarie anche dai renziani, fra le proteste di Bassolino per le modalità con cui si sono svolte le medesime, non ha alcuna possibilità di accedere al ballottaggio e la scelta di accettare il sostegno esplicito, con tanto di lista, da parte di Alfano e, in particolare, di Verdini non solo non la agevola ma costituisce per lei un’ulteriore zavorra. 

Quanto al M5S, semplicemente non esiste: non solo perché, a causa delle sue discutibili regole interne, si è rifiutato di presentarsi con un nome di prestigio ma perché, pur avendo un Direttorio composto per i quattro quinti da campani, non e stato in grado di formare una classe dirigente competitiva, tanto che il loro candidato, tale Brambilla, nato a Monza, è accreditato di una percentuale inferiore al 20 per cento.

D’altronde, è difficile immaginare un sindaco più “grillino” di De Magistris: ha rispettato alla lettera il referendum del 2011 sull’acqua pubblica, ascolta ed è attento ad ogni iniziativa dal basso, ha trasformato la città in un laboratorio di esperimenti di civismo attivo, ha litigato spesso con Renzi, al punto di arrivare a proclamare Napoli comune “derenzizzato”, è quanto di più simile possa esistere ad un militante movimentista e, ovviamente, raccoglie i consensi di vasta parte dell’elettorato pentastellato, con l’ovvia previsione di grappoli di voti disgiunti. 

Sarebbe bello se il M5S traesse la lezione che il mondo non è iniziato il 4 ottobre 2009, che esisteva anche prima ed esisterà anche dopo di loro, che non tutto ciò che si muove e agisce al di fuori delle loro mura è, per forza di cose, l’emblema del male e della corruzione e che ogni tanto un salutare passo indietro e la scelta di prendere per mano un progetto nato altrove ma comunque compatibile con i propri valori sarebbero segnali di maturità e non di cedimento; tuttavia, temiamo che questo processo di crescita, se mai avverrà, sia ancora molto di là da venire.

Quanto al PD, come ha giustamente spiegato Bassolino in più di un’occasione, è all’anno zero, senza una classe dirigente all’altezza della sfida, senza una sola proposta innovativa, senza un’idea nuova che sia una, costretto a dar vita a primarie nelle quali l’unico a dare l’impressione di sapere dove mettere le mani era proprio il quasi settantenne ex governatore, capace, se non altro, di rievocare il ricordo dei bei tempi andati, quando ancora esistevano partiti seri e competitivi e quando il centrosinistra era in grado di proporre, in Campania come altrove, una classe dirigente di amministratori locali di tutto rispetto. 

Storie passate, storie del ’93, storie irripetibili al giorno d’oggi, in una città ricca di problemi ma anche di risorse, martoriata dalla camorra e da una baby-criminalità drammaticamente aggressiva ma comunque capace di far germogliare nel proprio ventre i semi di un riscatto sociale che nasce, ad esempio, dall’impegno costante dei maestri di strada e di missionari come lo straordinario padre Alex Zanotelli, attivo nel Rione Sanità. È la famosa “speranzella” di un universo che ha avuto gloria e prestigio e adesso si aggrappa al poco che gli è rimasto; un mondo difficile nel quale, per governare, occorre un polso che non tutti hanno e che De Magistris, in fondo, ha dimostrato di possedere.

Come ha spiegato un napoletano doc quale Maurizio De Giovanni, autore de “Il resto della settimana” nonché creatore del commissario Ricciardi e dei Bastardi di Pizzofalcone, questo sindaco sui generis sarà confermato “perché nessuno è in grado di proporre una valida alternativa. De Magistris esprime un nuovo orgoglio napoletano che non è solo merito suo ma è stato concomitante al suo arrivo”.

Nella città di Pulcinella, dei Bassi, dei Quartieri spagnoli e delle Vele di Scampia, in una città che fino a qualche anno fa era sommersa dai rifiuti e oggi sembra invece respirare, in una città sfiancata, in difficoltà e complessivamente mal rappresentata, un soggetto come l’ex magistrato, titolare di inchieste delicate e osteggiate da una parte del suo stesso mondo, era quello che ci voleva. Per questo rivincerà, nel vuoto generale di una politica rimasta prigioniera di un passato che non può e, in molti casi, non deve tornare.

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