Cambiamenti climatici. Pagati per negare

ROMA – L’industria mondiale dei beni di largo consumo può’ risparmiare 700 miliardi di dollari all’anno riducendo gli sprechi: il dato e’ contenuto nel Rapporto Sviluppo sostenibile presentato oggi dal Sole 24 Ore.

Secondo il Rapporto, se le industrie dei beni di largo consumo in tutto il mondo, con investimenti contenuti, evitassero di buttare fino all’80% degli scarti, come ora avviene, risparmierebbero ben 700 miliardi di dollari all’anno, creando posti di lavoro addizionali e generando un cospicuo taglio delle emissioni dannose per l’ambiente.

In particolare, secondo una ricerca realizzata per la Ellen McArthur Foundation e anticipata per l’Italia sul Rapporto del Sole 24 Ore, reimpiegando il calore che scaturisce dal processo produttivo, riciclando gli scarti di produzione e trasformandoli in materie prime secondarie, si può’ arrivare a ridurre fino al 50% nel breve periodo gli scarti finali dell’industria manifatturiera.     Raggiungere una maggiore efficienza energetica, ridurre l’inquinamento atmosferico e i danni alla salute, porre fine agli sprechi di materie prime e secondarie e riciclare il più’ possibile i residui delle lavorazioni in fabbrica fa bene all’industria, al lavoro e al pianeta, quindi,  l’economia fin qui costruita, caratterizzata da un processo lineare (produzione-consumo-distruzione degli scarti) può essere profondamente trasformata  in una economia a ciclo chiuso.
La ricerca e’ stata consegnata ai capi di Stato dei paesi più’ industrializzati al mondo, per evidenziare i vantaggi per l’economia e per l’ambiente di un cambio di paradigma nella produzione dei beni di largo consumo.
Come ben sappiamo, però, questa opportunità, che consentirebbe ad un paese come l’Italia di far meglio valere le sue carte nella competizione economica internazionale, non è ben vista da chi sul vecchio modello di produzione e consumo ha costruito le sue fortune.
Nelle stesse ore in cui venivano illustrati i risultati della Ellen McArthur Foundation uno scoop del Guardian ha messo in luce un fiume di soldi per screditare la scienza che si occupa dei cambiamenti climatici che sono una delle ragioni di fondo per un diverso modello di produzione e consumo. Circa 120 milioni di dollari (90 milioni di euro) sono stati, infatti, investiti da miliardari conservatori americani per gettare ombre e dubbi sul “climate change”.
Il fondo, distribuito tra il 2002 e il 2012, ha favorito la creazione di una vasta rete di think tank e gruppi di attivisti dediti a una sola occupazione: mettere in discussione i cambiamenti climatici, non più un fatto puramente scientifico, ma argomento da usare per dividere l’opinione pubblica e sostenere il nocciolo duro dei conservatori. I milioni per gli attivisti anti clima sono arrivati da due fondi, il Donor Trust e il Donors Capital.
    Il direttore del Donor Trust, Whitney Ball, ha spiegato al quotidiano che la sua organizzazione ha garantito che i soldi dei donatori, spesso industriali del petrolio strenui oppositori delle manifestazioni per salvare il pianeta, non sarebbero mai andati, bontà sua, a cause liberali.
    Si dirà che lo scontro competitivo internazionale è sempre più duro e ognuno difende i propri interessi come può: chi pagando inpunemente tangenti per acquisire commesse internazionali e chi, magari gli stessi, inquinando il dibattito scientifico e l’informazione.
Mi permetto di dire che queste pratiche vanno duramente contrastate ad ogni livello se vogliamo intraprendere la strada indicata dalla  Ellen McArthur Foundation.


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