Ambiente e riformismo. La sinistra deve recuperare un grave ritardo culturale e politico

ROMA – Dal dibattito che si sta svolgendo nel Partito Democratico viene spontaneo domandarsi: ma come mai per la sinistra riformista, salvo alcune eccezioni, è così difficile  parlare di ambiente?

La cosa è ben strana. La questione ecologica, dall’ormai mitico rapporto del MIT  “I limiti dello sviluppo”promosso dal Club di Roma, è al centro dell’attenzione delle più importanti istituzioni internazionali e centri scientifici più prestigiosi. E’ questione nodale dei più complessi problemi  dalla cui soluzione dipenderà la sorte stessa del genere umano. L’uso indiscriminato delle risorse naturali è stato uno dei terreni privilegiati delle pratiche neoliberiste, causa di scontri diplomatici e armati pressoché in tutte le realtà del mondo. Il mercato finanziario, lucrando sui differenziali di sviluppo delle diverse realtà del pianeta e sullo sfruttamento delle risorse naturali, a partire da quelle energetiche e alimentari, ha lucrato spaventosi profitti destabilizzando profondamente l’economia globale, in particolare quella europea. La diffusione dei processi di sviluppo nei paesi una volta sottosviluppati, la crescente domanda di beni e servizi, il contrasto al cambiamento climatico costituiscono i termini di un’unica difficile equazione che potrà essere risolta solo  dalla capacità di rendere equo ed ecologicamente sostenibile il processo di globalizzazione.
In estrema sintesi si può affermare come la questione ecologica insieme alla questione sociale, con essa strettamente connessa, è la più grande, moderna contraddizione con cui la sinistra riformista è chiamata a confrontarsi.

Ebbene, nel dibattito politico della sinistra riformista italiana si ha sempre l’impressione che le questioni ecologiche vengano considerate, tutto sommato questioni marginali, cose da associazioni ambientaliste e, in quanto tali, non degne di essere prese in considerazione dalla “politica”.  Capace di  analisi politiche raffinatissime su economia, fisco, welfare, lavoro, alle questioni ecologiche la cultura politica riformista  al massimo riesce  a dedicare qualche cenno di circostanza. Una sorta di rinuncia a comprendere da cui deriva, al dunque, l’incapacità  di rileggere quelle connessioni  profonde che legano la questione ecologica alle altre questioni politiche considerate politicamente  preminenti, a tutti i livelli. Un caso clamoroso di questa incapacità è l’accantonamento nel 2006 della Strategia europea per lo sviluppo sostenibile, nella totale sottovalutazione delle forze politiche riformiste italiane ed europee, a favore di Lisbona 2020 anticamera della stagione dei pareggi di bilancio a senso unico e delle tragedie sociali che hanno determinato, a partire dalla Grecia.
L’unico momento in cui nel nostro Paese si accende l’attenzione alle questioni ambientali  è  a fronte della ennesima tragedia o emergenza ambientale. Attenzione che però viene meno appena si spengono i riflettori e senza nessuna capacità di risposte riformiste vere e durature. La riprova sta nella permanente emergenza ambientale in cui intere regioni vivono da decenni malgrado siano state governate a lungo da amministrazioni di sinistra.  

E’ come se la cultura politica riformista considerasse l’impegno sulle questioni ecologiche ininfluente sugli orientamenti culturali e politici degli italiani e, al dunque, elettorali. In effetti è pur vero che nel nostro Paese, a differenza ad esempio di Francia e Germania,  non si è mai affermato, ad eccezione della parabola dei Verdi, un partito politico di profonda ispirazione ecologista, malgrado il ricchissimo numero di organizzazioni i verdi. Ma è altresì vero, come dimostrano le indagini multiscopo dell’ISTAT e le elaborazioni ISPRA, che sulle tematiche ambientatali, in particolare sulla sicurezza ambientale, c’è una grande e costante attenzione dei cittadini. E d’altra parte non è forse questa sensibilità delle comunità locali alla base di quei conflitti ambientali (ben 331 nel 2011) che interessano una pluralità vastissima di situazioni (centrali d’energia di vario tipo, termovalorizzatori,  discariche, rigassificatori, infrastrutture stradali, infrastrutture ferroviarie).
Questa sottovalutazione ha veramente del paradossale e non finisce mai di stupire e indignare. Si pensi allo straordinario risultato dei referendum sull’acqua e sull’energia nucleare. Come non vedere, anche se con ritardo, che quel risultato interrogava ed interroga, la cultura riformista sul destino dei  beni comuni. E trovare risposte a questo interrogativo  non dovrebbe essere il terreno di impegno privilegiato di una sinistra  riformista. Ebbene ad oggi la risposta è stata la rimozione di fatto del problema. Come meravigliarsi allora della pesante penalizzazione della coalizione di centro sinistra alle recenti elezioni politiche.

Riconoscere, allora, che per la sinistra riformista italiana si pone l’esigenza e l’urgenza di recuperare un grave ritardo culturale e politico sulla questione ecologica è un primo passo indispensabile se abbiamo a cuore un riformismo all’altezza dei problemi che il Paese e non solo, ha di fronte. Non si tratta di interrogarsi su astratti paradigmi su cui rifondare lo sviluppo. Si tratta invece di governare un complesso processo di transizione  che porti il nostro sistema produttivo e dei consumi ad essere equo e sostenibile collocandolo nell’alveo delle più avanzate esperienze internazionali.  Sarebbe utile che questo diventasse il terreno di confronto del prossimo congresso del Partito Democratici. A questo obiettivo il Laboratorio Politico per la Sinistra è chiamato a dare il suo contributo.

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