Yemen. La coalizione a guida saudita ha ucciso decine di civili

ROMA – Nuove ricerche e analisi condotte da Amnesty International in Yemen hanno messo in evidenza l’elevato prezzo che la popolazione civile locale continua a pagare a causa degli attacchi aerei che la coalizione a guida saudita sta compiendo in tutto il paese, senza rispettare il diritto internazionale umanitario.

I ricercatori di Amnesty International hanno indagato su otto attacchi aerei lanciati su diverse aree dello Yemen, compresa la capitale Sana’a il 12 e il 13 giugno, e Taiz il 16 giugno. Questi otto attacchi hanno ucciso 54 civili (27 bambini tra cui un neonato di un giorno di vita, 16 donne e 11 uomini) e ne hanno ferito altri 55 (19 bambini, 19 donne e 17 uomini).

“Il diritto internazionale umanitario dice chiaramente che i belligeranti devono adottare tutte le misure possibili per evitare o ridurre al minimo le perdite civili. Tuttavia, i casi che abbiamo analizzato evidenziano uno schema di attacchi contro edifici civili, che hanno causato numerosi morti e feriti. Non vi è alcuna indicazione che la coalizione a guida saudita abbia fatto qualcosa per prevenire queste violazioni” – ha dichiarato Donatella Rovera, alta consulente per le crisi di Amnesty International, attualmente in Yemen.

“Gli otto casi su cui si sono concentrate le ricerche di Amnesty International dovranno essere sottoposti a indagini indipendenti e imparziali, in quanto possibili attacchi sproporzionati e indiscriminati. Le conclusioni di queste indagini dovranno essere rese pubbliche. Tutte le persone sospettate di aver commesso gravi violazioni delle leggi di guerra dovranno essere portate di fronte alla giustizia e le vittime di attacchi illegali e i loro parenti dovranno ricevere piena riparazione” – ha sottolineato Rovera.  Il 13 giugno un triplice attacco aereo della coalizione a guida saudita su Beit Me’yad, un sobborgo della capitale Sana’a, ha ucciso 10 civili (tra cui tre bambini e cinque donne) e ne ha feriti altri 28 (tra cui 11 bambini e 10 donne), che vivevano nei pressi dell’obiettivo dichiarato degli attacchi.  In uno dei tre attacchi, una bomba di 900 chilogrammi ha ucciso un bambino di 11 anni, due delle sue sorelle, suo fratello e un cugino di 10 anni e ferito altri cinque componenti della famiglia al-‘Amiri. La bomba, la cui sigla era ricostruibile dai frammenti raccolti sul posto da Amnesty International, ha polverizzato la casa di Yahya Mohamed ‘Abdullah Saleh, nipote dell’ex presidente ‘Ali ‘Abdullah Saleh, all’estero da anni, causando ingenti danni alle abitazioni circostanti.

La maggior parte degli abitanti era fuggita pochi minuti prima, a seguito dei due precedenti attacchi avvenuti in meno di 10 minuti, ma la famiglia al-‘Amiri non ha fatto in tempo: “Non siamo stati abbastanza veloci” – ha detto ad Amnesty International Mohamed al-‘Amiri, che nell’attacco ha perso quattro dei suoi figli.

I due precedenti attacchi, ad alcune strade di distanza, avevano distrutto l’abitazione della famiglia al-Akwa, uccidendo la 40enne Fatma, i suoi due figli Malek e Reem e altri due parenti; 18 familiari e cinque vicini di casa erano rimasti feriti.

Amnesty International ha incontrato una bambina di 12 anni che ha riportato ustioni di terzo grado, ferite da schegge su tutto il corpo e un profondo taglio sul volto. Piegata dal dolore, ha raccontato l’accaduto: “Eravamo tutti in una stanza, mia madre e i miei fratelli. L’esplosione ci ha colpiti tutti. Mia madre e i miei fratelli e sorelle minori sono in un altro ospedale”. In realtà, erano morti, come confermato dalla direzione dell’ospedale.  L’attacco che ha decimato la famiglia al-Akwa non ha centrato l’obiettivo dichiarato, ossia l’abitazione di Tareq Mohamed ‘Abdullah Saleh, un altro nipote dell’ex presidente, che era proprietario ma non residente di un’altra abitazione colpita la stessa notte da un’altra bomba. Le notizie di stampa provenienti da fonti del governo yemenita sull’uccisione di Tareq Mohamed ‘Abdullah Saleh si sono poi rivelate infondate.

Il 12 giugno, cinque membri della famiglia ‘Abdelqader sono stati uccisi in un altro bombardamento che ha distrutto quattro abitazioni nel centro storico di Sana’a. Il numero delle vittime avrebbe potuto essere assai maggiore se molti degli abitanti non avessero lasciato la zona a seguito di un precedente attacco contro il ministero della Difesa, che si trova a 200 metri di distanza.  Il portavoce della coalizione a guida saudita, il brigadier generale Ahmed al-‘Assiri, ha negato ogni responsabilità per l’attacco ma un frammento della bomba recuperato tra le macerie da Amnesty International ha rivelato che si era trattato di un ordigno di 900 chilogrammi già usato dalla coalizione in varie zone dello Yemen.  Una bomba dello stesso genere aveva, il 14 aprile, distrutto tre abitazioni del villaggio di al-Akma, nel governatorato di Ta’iz. In quell’attacco, analizzato da Amnesty International, erano stati uccisi 10 membri della famiglia al-Hujairi (tra cui sette bambini, una donna e un anziano) ed erano rimaste ferite altre 14 persone, in maggior parte donne e bambini.  Rabi’ Mohammed al-Haddadi, un vicino di casa della famiglia ‘Abdelqader, ha così descritto la scena ad Amnesty International: “Abbiamo raccolto le parti dei corpi, erano ridotti a pezzi”.

La bomba, identificata dalle sigle rinvenute da Amnesty International sui frammenti, era una General Purpose Mark 84 (MK84, conosciuta anche come BLU-117), progettata negli Usa e prodotta nel 1983, contenente oltre 400 chilogrammi di potente esplosivo. Dalle ricerche sul campo, è emerso che la bomba non è esplosa all’impatto, limitando dunque il suo potenziale distruttivo e il numero delle vittime civili.  

Lo stesso tipo di bomba, il 1° maggio, aveva fatto 17 morti e altrettanti feriti tra i civili in un sobborgo a nord-est di Sana’a. Secondo l’analisi dei frammenti e dei crateri, in altri due attacchi aerei avvenuti nel villaggi di Hajr Ukaish e al-‘Erra, erano state impiegate bombe dello stesso tipo, contenenti tra i 225 e i 450 chilogrammi di esplosivo.  Le testimonianze oculari raccolte sui luoghi degli attacchi aerei hanno fornito ulteriori, schiaccianti prove sull’assenza di qualsiasi precauzione adottata dalle forze della coalizione per ridurre al minimo il numero dei morti e dei feriti tra i civili al momento di colpire installazioni militari in zone controllate dai ribelli houti e dalle forze fedeli all’ex presidente Saleh. Inoltre, alcuni degli obiettivi dichiarati – come le abitazioni di proprietà di familiari dell’ex presidente – non costituivano obiettivi militari o quanto meno non sembravano obiettivi militari così importanti da correre il rischio di colpire civili e obiettivi civili nelle immediate vicinanze.

La maggior parte degli obiettivi di questi attacchi aveva in comune la prossimità – tra alcune centinaia di metri e pochi chilometri – con basi militari controllate dagli houti o dalle forze fedeli all’ex presidente Saleh o ad altri obiettivi militari ripetutamente colpiti dalla coalizione a guida saudita.

Ad esempio, gli abitanti del villaggio di al-Akma hanno riferito ad Amnesty International che una base aeronautica e un aeroporto situati a un chilometro e mezzo di distanza e controllati dagli houti e dalle forze fedeli all’ex presidente Saleh erano stati presi di mira prima e dopo il bombardamento del 14 aprile contro il villaggio, in cui l’abitazione della famiglia al-Hujairi era andata completamente distrutta ed erano state danneggiate due case adiacenti.

Nel caso del villaggio di Hajr Ukaish, situato oltre tre chilometri a nord dalla base militare di Jabal Nabi Shu’aib, controllata dagli houti e dalle forze fedeli all’ex presidente Saleh, le forze della coalizione hanno dichiarato che tre abitazioni ridotte a rovine dall’attacco che aveva causato 11 morti e sei feriti nella famiglia al-Ukaishi, erano state usate come depositi di armi. I sopravvissuti hanno negato ogni accusa, sostenendo di essere contadini. Le ricerche di Amnesty International sul posto non hanno rinvenuto alcuna prova che i bersagli degli attacchi fossero depositi di armi. Né le forze della coalizione hanno saputo fornire alcuna prova a sostegno della loro accusa.

“Anche se l’obiettivo dichiarato fosse stato un deposito di armi, questo non avrebbe potuto giustificare un attacco mortale contro abitazioni piene di gente e senza preavviso. Chi ha programmato quell’attacco doveva sapere che avrebbe probabilmente causato numerose perdite civili e non ha preso le necessarie precauzioni richieste dal diritto internazionale umanitario” – ha concluso Rovera.

Dal 25 marzo 2014, quando è iniziato l’intervento militare della coalizione a guida saudita, Amnesty International ha svolto indagini su 17 distinti attacchi aerei in varie zone dello Yemen (Sa’da, Sana’a, Ta’iz, Hodeidah, Hajjah e ibb), in cui sono stati uccise almeno 223 persone, almeno 197 delle quali tra la popolazione civile (tra cui 32 donne e 68 bambini) e sono state ferite altre 419 persone, tra cui almeno 259 civili. Secondo le Nazioni Unite, in tre mesi di conflitto armato in Yemen sono stati uccisi almeno 1400 civili e altri 3400 sono rimasti feriti.

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