Generazione Inquieta. Il senso della rubrica

ROMA – Il ricambio generazionale è sempre difficile. Non si vuole lasciare il proprio lavoro a novellini, e si rimane aggrappati a ciò che si è costruito in tutta una vita. Ci si sente persi durante questo cambio sperando che chi segue riuscirà ad essere all’altezza. Tuttavia non si può fare a meno del ricambio. Anzi, prima avviene meglio è.

Bisogna ammettere che quello che rende così orribile l’idea di lasciare tutto ad altri, in realtà non è che un “horror vacui”. È tutto dettato dalla paura che dopo di sé resti solo il vuoto, non tanto fisico ma intellettuale. Forse spaventati dalle nuove tecnologie multimediali, come i “readers”, i lettori di libri, più piccoli e più comodi di un libro vero, ne possono contenere a centinaia. Nei giochi da “console”, le generazioni anziane  vedono una minaccia, mentre i nuovi padri  vedono una nuova forma di apprendimento. Infatti, come affermano gli specialisti, questi bambini, proprio grazie a questi giochi che sollecitano risposte veloci a soluzioni complesse, saranno in grado da grandi di risolvere meglio e più velocemente i problemi che la vita porrà loro di fronte.
Insomma, è la paura che la nuova generazione non abbia le competenze adatte. Paura che non possa guidare la nazione, compito che prima o poi sarà costretta ad affrontare. E su questo argomento, ricordiamo le parole del filosofo Umberto Galimberti al festival della filosofia di Modena. Spiegò infatti come la nuova generazione sia in realtà persa nel suo nichilismo, poiché ha capito che i valori della generazione precedente non sono tramandabili né accettabili. Secondo me, punto nevralgico della grande rottura generazionale. Tutti i valori sono discutibili. Essa si deve salvare da sola.  

Io, Gianluigi Salerno, ho 19 anni e faccio parte di questa “inquieta” e spaventata nuova generazione. La rubrica che terrò d’ora in poi sarà uno sguardo, di esperienze, momenti, riflessioni e approcci personali, sulla mia generazione, alla scoperta di questi nuovi valori che la caratterizzano e la rendono distante ed autonoma. Voglio scoprire non tanto se la nuova generazione sia “degna” del suo nome, perché lo è, ma quali sono i punti che la rendono così distante dalle precedenti e se questi, guardati senza pregiudizi e con apertura, possano essere accettati e valorizzati da chi ci dovrà lasciare la sua eredità, sperando che riesca a superare la sua più grande paura. Su questi punti vorrei sollecitare un dibattito, libero, aperto e critico su dazebao.

Proprio questo è il senso dell’inquietudine della mia generazione. Una immensa fatica di Sisifo: quando ti accorgi di aver raggiunto la sommità della montagna, il masso portato con tanta fatica fin lassù, cade a valle, annichilendo tutti gli sforzi compiuti. Penso agli stage fasulli ed obbligatori che vengono organizzati in molte scuole superiori, che rendono il lavoro una nuova forma di servitù inutilizzabile. Penso alle migliaia di brillanti neolaureati costretti a fuggire dall’Italia, o a cedere ai call center o qualsiasi altra opportunità di lavoro sottopagato e sfruttato.
Soffriamo una società classista nella quale i privilegi sono ancora più evidenti. A tal punto che abbiamo perso la speranza di superare i nostri padri. Come osservano i sociologi, soltanto l’8% di chi nasce in povertà riuscirà a prendere l’ascensore sociale.
Questo è il testimone lasciato dai nostri padri, non preoccupatevi sapremo fare di meglio.

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