Incontro con l’avvocato Pablo Fajardo, eroe contro i crimini della Chevron-Texaco in Ecuador

GENOVA – Giovedì 26 giugno 2014: incontriamo in un salotto dell’Hotel Bristol, a Genova, l’avvocato Pablo Fajardo, l’eroe delle popolazioni amazzoniche dell’Ecuador che hanno subito il più atroce dei crimini contro l’umanità e l’ambiente per mano – la mano sporca – della multinazionale del petrolio Chevron-Texaco. Lo incontriamo per realizzare la video-testimonianza “Amazzonia avvelenata. Civiltà avvelenata”.

E’ con lui Oscar Herrera, testimone del disastro ecologico umanitario nell’Amazzonia ecuadoriana, che ci riferirà le fasi di una tragedia che dura da più di cinquant’anni: trent’anni di estrazioni indiscriminate di petrolio, attraverso 356 pozzi, e oltre vent’anni in cui gli effetti del grande avvelenamento si sono fatti sentire ancora, senza tregua, uccidendo migliaia di nativi e portando a tanti altri malattie gravi, spesso incurabili. Steed Gamero effettua le riprese video, mentre Mara Sarango, responsabile del Comitato Relazioni Internazionali del Movimiento Alianza Pais Ecuadoriano in Italia, ci assiste in ogni momento, consentendoci di realizzare le interviste in un clima sereno e costruttivo. Daniela Malini e Fabio Patronelli completano il nostro gruppo di difensori dell’ambiente e dei diritti umani. 
 
Pablo Fajardo risponde alle mie domande, rievocando uno dei più drammatici disastri ambientali e umani di ogni tempo. “Un disastro ancora più consistente di quello causato dalla petroliera Erika nel 1999, al largo della costa francese, di quello provocato dalla Prestige nel 2002 in Spagna e a quello verificatosi nel Golfo del Messico nel 2010. Con una differenza che lo rende ancora più grave agli occhi delle popolazioni dell’Amazzonica ecuadoriana. Se le catastrofi che ho appena citato furono infatti causate da errori umani, quella avvenuta nell’Ecuador è stata provocata deliberatamente, per guadagnare di più, sulla pelle delle popolazioni native della selva”. La Chevron-Texaco ha avvelenato oltre duemila chilometri quadrati di foresta nell’Amazzonia ecuadoriana. Un crimine contro l’umanità e l’ambiente che ha causato l’estinzione di due popolazioni, migliaia di morti e la diffusione di malattie gravi, spesso incurabili. La multinazionale degli idrocarburi sapeva fin dall’inizio del terribile inquinamento proveniente dai pozzi, ma ha nascosto la tragedia che colpiva l’ambiente e i nativi. Fino a oggi l’azienda si è rifiutata di pagare il giusto risarcimento alle vittime della catastrofe ecologica, nonostante la sentenza di un tribunale ecuadoriano che la condannava. Il testimone Oscar Herrera – Presidente dell’Associazione delle vittime della multinazionale Chevron-Texaco, rappresentante della Comunità Campo Auca
ed ex dipendente della petrolifera – ha riassunto con parole amare e il pianto nella voce come si è verificato il disastro, anno dopo anno, a causa della mancanza di procedure di sicurezza che tutelassero un ambiente che era incontaminato e la vita dei nativi, improvvisamente calati nell’orrore delle trivellazioni e dei veleni che venivano sparsi ovunque. Oscar, che ha lavorato per la Chevron-Texaco, convinto che portasse ricchezza ai popoli dell’Amazzonia, ha assistito alla morte di tanti amici e al diffondersi di malattie mortali. Giorno dopo giorno, inoltre, vedeva la sacra foresta dei suoi antenati trasformarsi in un inferno oscuro, denso e tossico. Pablo Fajardo ha voluto incontrare noi attivisti di EveryOne Group, che da alcuni anni siamo impegnati per sollecitare l’attenzione delle istituzioni internazionali sul caso Chevron-Texaco, un’industria che distrugge l’ecosistema del mondo in cui viviamo, forte del suo potere economico e politico, oltre che della sua totale mancanza di scrupoli. E purtroppo la Chevron-Texaco non è l’unico gigante nemico della vita. Abbiamo accolto con orgoglio il suo invito, e abbiamo cercato di trasformare il nostro incontro in un passo di civiltà, realizzando un video-appello che rivolgeremo alle Nazioni Unite, all’Unione europea, agli Stati Uniti d’America, 
ai governi di tutto il mondo e alla società civile. Se la Chevron Texaco non pagherà almeno il dovuto risarcimento economico per i suoi crimini non solo le popolazioni della selva, ma l’intera la civiltà umana, le generazioni future e il concetto stesso di giustizia subiranno una sconfitta definitiva e irreparabile. 
 
Dopo il lungo appuntamento con Pablo Fajardo e Oscar Herrera, li abbiamo  ascoltati ancora, nel tardo pomeriggio presso la Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, dove i due eroi dell’ambiente e delle popolazioni amazzoniche hanno raccontato ancora una volta – instancabili – al numeroso pubblico intervenuto, in gran parte formato da ecuadoriani che vivono a Genova, le vicende del disastro provocato dalla Chevron-Texaco. Anna Maria Sarango ha curato nei dettagli la conferenza, mentre Maria Grazia Palumbo, docente della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Genova, ha riassunto a beneficio degli spettatori che cosa prevedono le leggi internazionali e le carte per i diritti umani e per i diritti dei popoli, di fronte a tragedie come il genocidio avvenuto nell’Amazzonia ecuadoriana.
Al termine dell’incontro Guaman Allende – Direttore del Centro Ecuadoriano d’arte e Cultura a Milano – e io abbiamo consegnato a Pablo Fajardo il Premio Internazionale Milano per la Cultura, l’Arte e la Civiltà, mentre l’artista Fabio Patronelli del movimento d’arte “The Pure Source” ha donato all’avvocato e al testimone Oscar Heredia due dipinti dedicati al disastro nella selva ecuadoriana, caratterizzati però da un barlume di speranza: “Nel veleno scuro si vede sbocciare un piccolo fiore,” ha spiegato l’artista, “che rappresenta il lavoro di Pablo Fajardo, che continua a impegnarsi per la giustizia e ci regala un po’ di fede nel futuro. Futuro senza di lui sarebbe già tenebroso, mentre le vittime e l’ambiente naturale sarebbero definitivamente sepolti sotto il manto velenoso delle scorie lasciate nella selva”. L’avvocato e il testimone si sono profondamente commossi per il riconoscimento e il dono e quando ci siamo salutati, un legame ancora più forte ci univa. Un legame fatto di sdegno per le atrocità commesse dalla Chevron-Texaco, ma anche di speranza e sete di giustizia, che consentirà a tutti noi – Pablo, Oscar, Mara, Daniela, Fabio, Steed, Dario, Guaman, gli attivisti della foresta amazzonica e quelli che ovunque desiderano fare qualcosa per le vittime del veleno – di camminare fianco a fianco, su una strada che non accetta l’abuso, la disumanità e l’arroganza, fino al giorno della vittoria.
 
 

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