Scuola. Lettera aperta a Davide Faraone, sottosegretario del governo Renzi

Gentile onorevole Faraone, dopo aver letto l’intervista rilasciata al quotidiano “La Repubblica”, le scrivo questa lettera di risposta per argomentare la mia contrarietà -insieme a quella di molti docenti di sostegno e di pedagogia speciale- al progetto di riforma del sostegno da lei proposto, insieme alle associazioni FISH E FAND. 

Anzitutto nel metodo.

Tanto si parla in questi giorni di un dialogo sempre aperto all’ascolto e alle proposte di chi, in questi giorni, sta duramente contrastando l’intero impianto del DDL di riforma “La Buona Scuola”. Ebbene, non credo che si possa minimamente parlare di ascolto e di partecipazione democratica quando si sceglie di “rivoluzionare” un capitolo così importante e delicato come il Sostegno attraverso lo strumento legislativo della legge delega.

Dall’entrata in vigore della legge sulla Buona Scuola avrete, infatti, 180 giorni di tempo per mandare in attuazione il cambiamento, a suo dire epocale e rivoluzionario, sul sostegno.  Un cambiamento radicale che, attraverso la legge delega, vi permetterà di procedere speditamente, al netto di ogni opposizione e possibile protesta. 

Ma passiamo nel concreto. La sua intervista così è titolata: “Per aiutare quei bimbi servono studi specialistici non si può improvvisare”. Già da questa affermazione possiamo benissimo osservare come la sua idea di inclusione sia, magari anche in modo inconsapevole, limitata.  Basata, anzitutto, sulla convinzione generalizzata e generalizzante che i docenti specializzati per il sostegno improvvisino il loro mestiere. Non so se per fare il ministro, il parlamentare o il sottosegretario all’istruzione sia in uso la pratica di “improvvisare”. Docenti, però, le assicuro, non ci si improvvisa. Non per improvvisazione si diventa docente di sostegno, attività per la quale – le ricordo- si prende una specializzazione dopo aver conseguito una laurea magistrale e un’abilitazione in una classe di concorso. Dunque, è evidente, come il docente di sostegno abbia – rispetto ai docenti curricolari- un titolo in più. Non un docente di serie B, atto all’improvvisazione, ma un docente di serie A +.

Per altro, è bene ricordarlo, la formazione dei docenti di sostegno è stata riformulata, pochi anni or sono, dal DECRETO n. 249 del 10 settembre 2010. Questo, per dire, che state andando a riformare il “riformato”.

Lei sostiene, inoltre, nell’intervista, che i docenti di sostegno non siano abbastanza specializzati nelle singole disabilità e propone un ritorno ai corsi di formazione monovalenti. Questi corsi furono introdotti dal DM 26/06/1976. MIllenovecentosettantasei. Quando, per capirci, ancora esistevano le scuole speciali e ancor prima della legge 517/1977, che diede inizio alla storia dell’integrazione della scuola italiana. Di quale riforma stiamo parlando? Tornare indietro di 40 anni vuol dire “rivoluzionare” l’inclusione a scuola?

I docenti specializzati di oggi, mi preme sottolinearlo, non hanno una formazione generalista nel senso di “generale”. Sono formati anche sulle singole disabilità (basti vedere che tipo di lezioni, di laboratori e di esami si fanno nei corsi attuali di formazione per sostegno: 800 ore tra lezioni, laboratori, tirocinio diretto, tirocinio indiretto su materie e disabilità trasversali), ma in un’ottica che punta l’attenzione alle risorse più che deficit, al contesto e alla sua importanza più che ad una iperspecializzazione medicalizzata che esclude..

Il rischio che la sua proposta di riforma ci porti verso un modello medico emerge, in modo palese, dall’intervista rilasciata a Repubblica quando afferma: “I presidi conoscono a inizio anno il numero e le patologie dei ragazzi disabili, si possono formare subito i docenti di cui la scuola ha bisogno”. Il docente di sostegno non lavora né con un numero né con una patologia, ma con un alunno. Ed è nell’ottica della “speciale normalità” che si colloca il suo lavoro, nella specialità del suo intervento, delle tecniche e delle metodologia per l’inclusione e – allo stesso tempo- nella normalità dei contesti di vita della scuola. Lei afferma anche che con la sua riforma “ il sostegno dovrà essere alla classe più che al singolo alunno”. E’ quello che dal 75 la scuola sa di dover fare e ogni buon insegnante di sostegno fa. Certamente non separando le carriere dei docenti di sostegno da quelle dei docenti curricolari ci sarà più inclusione. Anzi, aumenterà in tal caso la delega e, con essa, l’esclusione. 

Ben venga allora un sano e aperto dibattito sulla riforma del sostegno per migliorare ciò che non va. Miglioriamo l’inclusione, ma  a partire dall’ascolto di chi l’inclusione la vive e la fa ogni giorno a scuola. Un ascolto che non può essere intrappolato nei meccanismi della legge delega e che deve partire dalle troppo silenti buone prassi di integrazione che la scuola italiana è capace di dare.

Francesco Pettinari

Docente di sostegno, Francesco De Sanctis, Genzano di Roma

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