Egitto. Mohamed Morsi. Dubbi e speranze sul nuovo presidente

IL CAIRO – La paura del ritorno del regime ha schierato il popolo egiziano. Ieri pomeriggio alle 16 è stata confermata l’elezione alla presidenza del candidato dei Fratelli Musulmani Mohamed Morsi.

Nonostante alcuni temessero che la sconfitta del candidato della Giunta Militare Ahmed Shafiq avrebbe generato una reazione dell’esercito, l’elezione dell’avversario è stata ufficializzata, e il resto del mondo ha accettato più o meno positivamente la notizia.

Il presidente statunitense Barack Obama si è congratulato con il neo eletto ed ha assicurato il sostegno del proprio Governo al processo di transizione verso la democrazia dell’Egitto. Anche il nostro ministro degli esteri, Giulio Terzi, ha espresso le sue felicitazioni per “la prova di democrazia” data. Dal canto suo Morsi ha garantito che gli accordi internazionali presi precedentemente dal suo paese verranno rispettati. E tuttavia ha affermato di volersi anche aprire all’Iran, migliorando i rapporti con Teheran in vista di un nuovo “equilibrio di pressioni nella regione”, all’attenzione del suo programma politico.

L’appartenenza del presidente ad una organizzazione religiosa destabilizza infatti gli equilibri precedentemente stabiliti, in particolare con Israele, la cui stampa è apparsa molto preoccupata dell’eventuale islamizzazione della politica del paese. I titoli dei giornali parlano chiaro: “Tenebre in Egitto”, “Pericolosa vittoria”, “Il trattato di pace è a rischio”. Il neo presidente è temuto da Tel Aviv in virtù del suo passato, che l’ha visto alla guida di un comitato per “la guerra contro l’impresa sionista”. Inoltre anche Hamas fa parte dei Fratelli Musulmani, ed ha infatti reagito alla vittoria di Morsi definendo il suo successo “un momento di svolta per il Medio Oriente”.

Un’analisi più realistica è tuttavia emersa nel dibattito israeliano: Yaacov Katz del Jerusalem Post ha affermato in un suo editoriale che “niente cambierà a breve termine nelle relazioni con l’Egitto, poiché Morsi deve affrontare sfide più pressanti di una guerra con lo Stato ebraico”. L’elezione di Morsi è infatti, a guardarla bene, una vittoria di Pirro. Il suo nemico principale, interno e potente, resta l’esercito. I tempi lunghi dell’elaborazione del risultati elettorali sono stati infatti determinati dal tentativo di quest’ultimo di ridurre i poteri della presidenza. Iniziativa questa contro cui si espresso il neo presidente, affermando in un’intervista come non sia nei loro diritti prendere tale decisione.

E tuttavia le forze militari egiziane posseggono ancora un grande potere nel paese: sebbene dall’1 luglio il potere passerà dalla Giunta Militare a Mosni e al suo governo, ad essa resterà la gestione in completa autonomia dell’intero apparato repressivo, composto da esercito e polizia. Dalla caduta di Mubarak nel febbraio dello scorso anno ad oggi non è ancora stata elaborata una Carta Costituzionale definitiva. Inoltre i giudici della Corte Costituzionale rimangono quelli nominati dal vecchio raìs. Da qui probabilmente la delegittimazione da parte di questa dell’Assemblea del popolo recentemente eletta, ossia la camera bassa del Parlamento. I giudici hanno infatti negato la costituzionalità del sistema elettorale misto proporzionale-maggioritario utilizzato. Incostituzionale è stata anche definita la proposta di legge che negava ad ex membri del regime il diritto di candidarsi, e che avrebbe impedito di fatto all’avversario di Morsi, Ahmed Shafiq, di diventare presidente. In molte recenti occasioni l’azione dell’esercito è apparsa come una sorta di “golpe bianco”: una volta indirizzato il malcontento emerso tra la popolazione durante la primavera araba verso l’ex dittatore Mubarak, tale classe sociale ha tuttavia garantito la stabilità dei propri poteri, anche limitando i diritti sociali dei nuovi soggetti che si affacciavano alla politica. Da qui i dubbi che fino all’ultimo sono rimasti nell’aria sull’accesso alla presidenza del candidato dei Fratelli Musulmani. Sebbene questa organizzazione abbia seguito popolare, nonché forte influenza su strutture sociali quali scuole, moschee e ospedali, il neo presidente Morsi rischia di ricoprire un ruolo svuotato, in un sistema politico congelato, in ostaggio dei militari.

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