Siria. Un Paese dal futuro troppo incerto

ROMA – Nonostante il susseguirsi di incontri diplomatici internazionali, il destino della Siria è ancora oscuro. Troppi i fronti, troppi gli interessi in gioco, e la tragedia umana rischia di finire sullo sfondo.

A denunciare la solitudine dei siriani è stato il generale norvegese Robert Mood, capo della missione degli osservatori Onu in Siria, che ha accusato la diplomazia internazionale di non fare abbastanza per fermare la violenza sul territorio. Il generale ha affermato ieri, durante una conferenza stampa a Damasco, che la sua sensazione  è quella che “si faccia un gran parlare in begli alberghi e ci sia troppa poca azione per fare progressi e fermare la violenza”, riferendosi agli incontri inconcludenti degli ultimi mesi.

Il 30 giugno a Ginevra si è infatti riunita una conferenza indetta dal mediatore ONU Kofi Annan, promotore del Piano Annan in 6 punti per il ritorno della pace in Siria. Durante tale incontro si è formato il “Gruppo di azione sulla Siria”, composto dai cinque Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna), la Ue, la Turchia e alcuni Paesi della Lega Araba. L’incontro avrebbe suggellato un “Piano Ginevra”: i partecipanti si sono trovati d’accordo sulla necessità di una transizione politica a Damasco, attraverso la destituzione di Bashar Al Assad e la creazione di un organo di Governo provvisorio, composto sia da rappresentanti dell’attuale Governo che dalle opposizioni. I tre principali temi sono stati il passaggio del potere, la cessazione delle violenze attraverso l’interruzione delle riforniture di armi e il ritiro delle truppe dai centri abitati. Ma la sottoscrizione di un comune documento finale non è riuscita a nascondere la vacuità dell’accordo e l’impotenza della Comunità internazionale, incapace di trasformare in fatti la scelte che prende su carta.

Un ulteriore incontro internazionale, quello delle opposizioni siriane, si è poi tenuto a Il Cairo il 2 luglio. Anche in questo caso i partecipanti hanno esplicitato la necessità dell’abbandono del potere da parte di Al Assad. Ma nonostante ciò i negoziati tra le varie fazioni sono stati difficili, a causa delle numerose divergenze: il Consiglio Nazionale Curdo siriano si è tirato fuori dalla discussione per un disaccordo sul documento finale, per poi tornare sui suoi passi. Mentre la Commissione generale della rivoluzione siriana ha ritirato i suoi delegati, esasperata dalle eccessive differenze in seno all’opposizione.
Le divergenze tra le posizioni in seno all’ONU, come già detto in articoli precedenti, si possono brevemente riassumere attraverso la divisione tra il blocco Usa-Ue e quello Russia-Cina-Iran. Quelle all’interno del territorio siriano sono invece più complicate. Ciò che si teme per il “dopo-Assan” è l’imporsi di uno Stato nazionalista islamico, governato dai Fratelli Musulmani, che metta a rischio le altre numerose minoranze. Tale preoccupazione è stata espressa oggi da Sgerkoh Abbas, leader dell’opposizione curda in Siria, nel corso di un’intervista al quotidiano turco “Hurriyet”. Abbas ha accusato il Consiglio Nazionale Siriano, appoggiato da Ankara e considerato dall’Occidente il primo interlocutore dell’opposizione siriana, di voler “sequestrare” la rivoluzione, sostituendo in futuro il presente regime con uno nuovo, sunnita, che non riconosca i diritti di curdi, alawiti, cristiani e delle altre componenti religiose. Da parte sua, il Consiglio Nazionale Curdo siriano, ha dichiarato attraverso il suo rappresentante di non essere disposto ad accettare “nulla che non preveda almeno un governo federale”.

Ma nonostante i pronostici sul futuro, il Presidente Al Assad non sembra ancora sul punto di cadere. Pronto a tendere la mano all’antico amico, il Presidente turco Erdogan, nel tentativo di dimenticare l’incidente del caccia turco abbattuto (che, secondo una sua dichiarazione, era stato confuso con un attacco israeliano), sembra dimostrare ancora un notevole controllo sulla sua posizione. In una recente intervista al quotidiano turco Cuumhuriyet, pubblicata ieri in Italia da La Repubblica, ha sostenuto di non essere disposto a rimanere in carica “nemmeno un solo giorno, se il popolo non lo vuole”, convinto di avere ancora un notevole appoggio tra i cittadini siriani. E potrebbe anche essere vero: scomparso dopo le ultime elezioni egiziane il miraggio delle “primavere arabe” la paura di un futuro Stato guidato dai Fratelli Musulmani, filoamericano, parallelo a quello del Cairo, potrebbe star producendo un arroccamento delle minoranze siriane su se stesse. Tra queste ci sono gli alawiti, di cui Assad è il rappresentante: sciiti che da secoli sono vittime di persecuzioni e che vivono in quest’epoca una “sindrome da accerchiamento sunnita”. E’ alla luce di questa frammentazione che la soluzione “libanese” proposta dall’ONU, di un futuro Governo siriano nato dalla collaborazione dei gruppi oggi al potere con le opposizioni, sembra la prospettiva migliore. Ma riuscirà la Comunità internazionale a farli sedere ad uno stesso tavolo?

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