Cina. Hong Kong, boom di vendite di libri proibiti

PECHINO (corrispondente) – Pechino censura e Hong Kong ci guadagna. Non solo beni di lusso: ad attirare i cittadini della mainland nell’ex colonia britannica è anche la carta stampata, quella che scotta e che in patria non potranno acquistare mai.

In Cina il governo pone severi controlli sui mass media, calando spesso la mannaia della censura su saggi politici e questioni controverse della storia nazionale. Così, pur di mettere le mani sul frutto proibito, i cinesi hanno trovato un modo per smarcarsi dai divieti: andare a fare shopping nella regione amministrativa speciale, dove, nonostante le recenti critiche abbattutesi su importanti testate locali, la libertà di stampa continua ad essere una realtà. Almeno stando a quanto stabilito dalla Basic Law di Hong Kong.
Gli imprenditori del “Porto Profumato” ringraziano e battono cassa.

Per gli amanti dei libri proibiti non c’è che un posto in cui andare: People’s Commune, situata a Causeway Bay, il quartiere commerciale dell’isola, offre una scelta vastissima di testi. Dalla repressione di Piazza Tian’anmen all’ultimo maxi-scandalo che vede coinvolto l’ex leader di Chongqing Bo Xilai e famiglia; le storie più dibattute degli ultimi tempi riempiono gli scaffali del noto bookstoor hongkonghese.

Gli affari vanno a gonfie vele: il suo proprietario, Deng Zi Qiang, dice di aver riscontrato un flusso in crescita di clienti provenienti dalla terraferma da quando, nel 2003, People’s Commune ha aperto i battenti. Nello stesso anno Hong Kong cominciava ad accogliere un numero maggiore di viaggiatori cinesi indipendenti, grazie ad alcune agevolazioni stabilite da Pechino. Secondo i dati rilasciati dall’Hong Kong Tourism Board, i visitatori in arrivo dalla Cina continentale sono schizzati dai 13,6 milioni del 2006 ai 28,1 milioni del 2011, così che oggi “il 95% dei miei clienti è cinese” ha raccontato Deng alla CNN, sottolineando come ogni mese riesca a vendere tra i 300 e i 400 libri. Ma non sempre la missione va a buon fine al primo colpo: alcuni temerari sono dovuti tornare più volte in dietro dopo essersi visti confiscare i testi alla dogana.

Per soddisfare al meglio le curiosità dei cugini della mainland, People’s Commune prende gli ordini e pubblica informazioni riguardo ai nuovi arrivi direttamente su Weibo, il Twitter cinese.
Identikit dell’acquirente tipo: studioso o uomo d’affari tra i 30 e i 40 anni, proveniente dalle grandi metropoli quali Pechino, Shanghai e Canton. Ma non solo. E’ capitato di veder arrivare persino funzionari governativi, ha affermato Deng: “quando entrano mi mostrano il loro tesserino”.

La febbre crescente per i libri proibiti è da attribuirsi al desiderio dei cinesi di sentirsi partecipi della vita politica del proprio paese piuttosto che semplici osservatori, ha spiegato Zhou Baosong docente di politica presso la Chinese University of Hong Kong. E questo spiegherebbe anche perché la libreria non riscuote lo stesso successo tra i nativi dell’isola.

La sete di conoscenza dei cinesi non avrebbe, dunque, implicazioni sovversive. “Il fatto che stia leggendo questi libri non vuol dire che sia anti-Partito” ha affermato un cliente giunto da Pechino “infatti, se le persone ottenessero maggior accesso al processo decisionale avrebbero modo di dare suggerimenti e contribuire con la loro saggezza. Finché tutto ciò non nuoce al benessere del popolo, non vedo perché il paese dovrebbe vietare la diffusione dell’informazione. Dopo tutto vogliamo che il nostro paese e le nostre vite diventino migliori”.

Negli ultimi anni, a ridosso dell’anniversario della strage dell’89, la New Century Press di Hong Kong ha dato alla luce una serie di opere dal peso specifico considerevole e rigorosamente vietate nella Cina continentale. Ultima in ordine di tempo “Conversazioni con Chen Xitong”, libro intervista nel quale Chen, al tempo della rivolta studentesca sindaco di Pechino e ritenuto tra i promotori della repressione violenta del movimento, riscrive i tragici eventi definendoli “una tragedia che poteva essere evitata”. Epurato nel 1995 e condannato a 16 anni di carcere per reati economici (nel 2006 rilasciato a causa di motivi di salute), l’ex boss di Pechino ha puntato il dito contro l’ex presidente Jiang Zemin, definendosi una vittima degli intrighi di palazzo attraverso i quali quest’ultimo avrebbe spianato la propria ascesa alle più alte cariche del Partito.

Nel 2009 la casa editrice hongkonghese aveva dato alle stampe Prisoner of the State, trascrizione delle memorie di Zhao Ziyang, il segretario riformista del Pcc silurato e messo ai domiciliari a vita per aver aperto il dialogo con gli studenti “ribelli”. Più che sugli eventi del 1989, il libro di Zhao ridimensiona il ruolo ricoperto da Deng Xiaoping nelle riforme che hanno aperto la Cina all’esterno, innescandone l’iperbolica crescita economica dell’ultimo ventennio.

Non è andata altrettanto bene ai diari dell’ex Primo Ministro Li Peng -annoverato come uno dei responsabili della strage dell’89- la cui uscita è stata bloccata in extremis nel giugno 2010, ufficialmente, per una violazione di copyright. Ultimata nel 2004, l’opera del “macellaio di Tian’anmen”, ritenuta una minaccia per la legittimità del Partito, aveva già incontrato il semaforo rosso delle autorità, riuscendo solo in seguito ad arrivare con difficoltà nelle vetrine delle librerie americane.

Proprio alcuni mesi fa la Century Press ha pubblicato la biografia di Liu Xiaobo, attivista e Premio Nobel condannato nel 2009 a 11 anni di prigione. L’autore, Yu Jie, famoso saggista e amico di Liu con più di trenta opere a suo nome, nel 2010 ha cementato la propria posizione di critico politico di spicco con il libro “Wen Jiabao, il migliore attore della Cina”; una condanna senza appello nei confronti dell’attuale Premier, da più descritto come la “faccia buona” del Partito e incline a versare lacrime di coccodrillo. Dopo le ripetute minacce di Pechino, nel gennaio scorso Yu è fuggito negli Stati Uniti con la famiglia.

Attivisti, politici scomodi, pagine della storia strappate; i più bersagliati dalla censura cinese trovano rifugio tra le braccia dell’ex protettorato britannico, dove a tenere salda la barra della rinomata casa editrice è Bao Pu, figlio di quel Bao Tong considerato braccio destro di Zhao Ziyang e oggi dissidente agli arresti domiciliari. All’indomani del massacro del 1989, Bao senior fu condannato a sette anni di prigione, oltre che alla privazione dei diritti politici per due anni, con l’accusa di aver “rivelato segreti di stato e di propaganda controrivoluzionaria”.

Dal 18 al 24 luglio, come tradizione,  il “Porto Profumato” ha ospitato l’Hong Kong Book Fairy, quest’anno giunta alla sua 23esima edizione. Sebbene da sempre considerata il centro del mercato editoriale in lingua cinese, la fiera del libro hongkonghese negli ultimi anni ha assunto un ruolo di primo piano anche per quanto riguarda le pubblicazioni straniere. Eppure, non serve dirlo, ad attrarre la maggior parte dei visitatori -950 mila i partecipanti nel 2011- continuano ad essere proprio loro: i libri proibiti.

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