Russia. Condannate le Pussy Riot

ROMA – Si è concluso oggi il processo alle Pussy Riot, la punk band russa composta da  Maria Alyokhina, Nadezhda Tolokonnikova e Yekaterina Samutsevich.

Le tre attiviste politiche sono state riconosciute colpevoli di vandalismo e istigazione all’odio religioso dal Tribunale di Mosca e condannate a due anni di reclusione. La loro colpa: aver inscenato una performance anti-Putin all’interno della cattedrale ortodossa di Cristo Salvatore lo scorso 21 febbraio. Lo spettacolo messo in atto dalle tre musiciste, poco più che ventenni, consisteva in una sorta di “preghiera di liberazione da Putin”, per la quale il gruppo aveva poi chiesto scusa agli ortodossi, spiegando che la protesta era rivolta esclusivamente al patriarca Kirill per il suo sostegno alla rielezione di Vladimir Putin. Ma il gesto non era comunque stato perdonato e le tre erano state arrestate.
Ufficialmente da Londra, il 2 agosto, il presidente Putin aveva chiesto una pena “non troppo severa”. Tuttavia l’accusa ha chiesto la pena di tre anni in un campo di lavoro, mentre la difesa aveva dichiarato che qualsiasi sentenza tranne la ‘non colpevolezza’ sarebbe stata giudicata illegale e avrebbe portato ad un ricorso alla Corte Europea dei diritti umani, anche per le condizioni inumane in cui sono detenute le imputate. Le tre Pussy avevano infatti denunciato di essere state private del sonno, di non aver ricevuto cibo e di non aver potuto incontrare privatamente i loro avvocati. Inoltre, la meta’ dei testimoni convocati dai loro legali erano stati rifiutati dal giudice del processo Marina Syrova. Nonostante le iniziali richieste il loro principale legale, Marc Feigin, questa mattina si era dichiarato pessimista, sospettando si potesse giungere ad una condanna piena senza condizionale. Più tranquille si sono mostrate le tre giovani, che nel corso del processo hanno indossato magliette con su scritto “No pasaran”. La 22enne Nadezhda Tolokonnikova, considerata da molti la leader nonché la “mente diabolica” del gruppo questa mattina a poche ore dalla sentenza si era dichiarata soddisfatta  al quotidiano russo Novaya Gazeta. “Nadia” aveva infatti affermato con tranquillità: “non importa quale sarà il verdetto, abbiamo già vinto. Noi (russi, n.d.r.) abbiamo imparato ad arrabbiarci con le autorità e a parlare ad alta voce di politica”, liquidando poi come un “scherzo” la possibilità di chiedere clemenza alla Corte e come un’”illusione” quella di ricevere un verdetto indipendente. Alle parole di Nadia si era aggiunto il commento di Yekaterina Samutsevich, 30 anni, la piu’ anziana della band: “Il nostro caso non dipende dalla giustizia, ma dal timore di Vladimir Putin si quanto dovrà affrontare nell’autunno 2012 in seguito alla nostra incarcerazione”.
Naturalmente alla fine della sentenza il giudice Syrova ha voluto precisare che la sentenza di colpevolezza nei confronti del trio punk non avesse una funzione di “azione politica”: il presidente delTribunale Khamovniki di Mosca ha infatti dichiarato come le imputate fossero “consapevoli della natura offensiva delle loro azioni e del loro aspetto”, “la loro intenzione era attirare l’attenzione del pubblico con una vasta risonanza, offendendo non soltanto i dipendenti della cattedrale ma anche l’intera società”. Ma nessun osservatore internazionale si è allineato ad una tale interpretazione del verdetto. La punizione sembra a molti sproporzionata rispetto alla colpa, e le Pussy Riot hanno ottenuto nell’ultima settimana molta attenzione e solidarietà. Sono diverse le azioni dimostrative a loro difesa che si sono susseguite negli ultimi giorni: davanti al tribunale di Mosca questa mattina si sono raccolti migliaia di loro sostenitori, vestiti con il passamontagna colorato indossato dalle tre durante la “performance blasfema”. Inoltre 103 rappresentanti del mondo della cultura e dello spettacolo russo hanno firmato un appello per la liberazione delle ragazze, denunciando come il caso stesse minando la credibilità delle istituzioni federali.

Ma anche all’estero c’è chi ha preso le difese del trio punk russo a partire da star internazionali come Madonna (prontamente insultata dal vice premier Dmitri Rogozin su Twitter per la sua intromissione), Paul McCartney,  Moby, Patti Smith, Bjork, Vasco Rossi, Sting, i Franz Ferdinand e i Red Hot Chili Peppers. Lo scorso maggio Amnesty International ha dichiarato che le tre ragazze erano “prigioniere di coscienza” e attraverso la rete e i social network si sono organizzate iniziative in vari paesi a loro sostegno. Tra queste c’è il presidio tenutosi oggi pomeriggio a Milano, a cui ha aderito anche l’assessore Cristina Tajani come rappresentante del Comune. In Ucraina poi un gruppo di artiste femministe chiamato Femen, e note per i loro eventi in topless, hanno dedicato una  performance alle colleghe russe: il blasfemo abbattimento di una croce di legno con una sega elettrica. Chiara protesta,questa, contro la Chiesa ortodossa russa che fino all’ultimo ha rifiutato la clemenza verso le tre attiviste: a fine giugno, Vsevolod Chaplin, capo del dipartimento sinodale per le relazioni con la società, aveva addirittura dichiarato di aver avuto una “rivelazione divina”, in cui Dio stesso condannava le Pussy Riot.
La linea dura di Chiesa, Governo e Magistratura russi sembrerebbero aver vinto, nonostante le pressioni internazionali, questa battaglia. Sul futuro del gruppo rimangono ancora molte incertezze. Nel frattempo non ai loro sostenitori non resta che farsi forza con le parole della lettera scritta da Nadia prima della sentenza. In questa, dopo aver definito la loro reclusione “un chiaro segno che e’ stata sottratta la libertà dall’intero Paese”, la leader del gruppo aveva comunque espresso la sua soddisfazione: “Insieme stiamo creando un grande evento politico e il sistema di Putin difficilmente riuscirà a fermarlo. Qualunque sia il verdetto, abbiamo già vinto”.

 

 

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