Tutti i numeri del Tibet

ROMA – Entro la fine dell’anno la regione autonoma del Tibet vedrà l’arrivo di oltre 10mila turisti, con guadagni per 12 miliardi di yuan (circa un milione e mezzo di euro), pari al 17% del PIL della regione.

Le premesse sono buone: da gennaio ad agosto le bellezze locali hanno richiamato 7 milioni di persone, tra cinesi e stranieri, mettendo a segno un aumento del 25% rispetto allo scorso anno. Le entrate dal turismo negli ultimi otto mesi sono salite a 7,5 milioni di yuan (poco più di 940mila euro), evidenziando una crescita del 30% su base annua, scrive il China Daily riportando le parole di Yu Yungui, funzionario per il turismo locale. Merito dell’ottima campagna pubblicitaria realizzata per valorizzare la cultura e le varie festività locali, prosegue il quotidiano in lingua inglese, sottolineando come gli affari sul Tetto del Mondo vadano molto meglio da quando nel 2006 è stata messa in funzione la linea ferroviaria Qinghai-Tibet. E c’è grande attesa per il parco tematico di 800 ettari dedicato alla “cultura tibetana”, i cui lavori, iniziati l’8 luglio, costeranno alle autorità cinesi oltre 4 miliardi di euro.

Snocciola tutti i numeri scintillanti del business nella terra dei lama il China Daily, e bypassa quelli in continua crescita delle proteste contro Pechino. Dal 2009 sono state 51 le auto-immolazioni tibetane, due soltanto la scorsa settimana. Le autorità cinesi sono intervenute in questi giorni inviando forze di sicurezza  nei pressi del monastero di Zilkar, provincia orientale di Tridu, dove l’1 settembre cinque monaci sono finiti agli arresti per ragione non chiare. A febbraio erano scattate le manette per altri tre coinvolti in una massiccia protesta che aveva scosso la regione, mentre a giugno il governo cinese aveva inviato 800 uomini per impedire la commemorazione della morte Tenzin Khedup, immolatosi il 20 giugno per chiedere l’indipendenza del Tibet e il ritorno del Dalai Lama, in esilio dal 1959.
Aumento dei controlli anche presso il monastero di Kirti, situato nella regione di Ngaba, provincia cinese del Sichuan, dove sarebbero avvenute almeno 31 delle 51 immolazione.

La questione tibetana ha raggiunto la scrivania del Segretario di Stato americano Hillary Clinton, in questi giorni nella capitale cinese per incontrare esponenti del governo di Pechino: The International Campaign for Tibet (ICT), organizzazione per la tutela dei diritti dei tibetani, ha inviato una lettera appositamente per sollecitare la Clinton a prendere le difese del Tibet durante la sua trasferta nel Paese di Mezzo; e con più fermezza rispetto a quanto non abbia già fatto in passato.

Bacchettata anche la stampa internazionale -si salvano Guardian ed Economist- contro la quale Asia Sentinel ha puntato il dito lunedì con un lungo articolo al vetriolo. Le autocombustioni tibetane sembrano essere un topic da social network, dove sempre più spesso circolano foto e video di corpi avviluppati dalle fiamme, ma scarsamente trattate dai media mondiali. Forse per mancanza di fonti dirette a causa dell’inaccessibilità di molte zone, forse per paura di pestare i piedi ad una superpotenza che, sebbene messa alla gogna quanto a diritti umani, rimane pur sempre un partner commerciale da non farsi sfuggire.

Non ebbe altrettante remore il New York Times a raccontare la storia del monaco vietnamita Thich Quang Duc, datosi fuoco nel 1963 per protestare contro la persecuzione del Buddhismo messa in atto dal presidente cattolico Ngô ?ình Di?m. Al tempo la notizia rimase in prima pagina per diversi giorni, commenta l’autore del pezzo, un giornalista tibetano trasferitosi negli Usa.

Spesso ci si chiede se le auto-immolazioni tibetane siano un rituale religioso o una protesta politica -scriveva a giugno sul Washington Post Lobsang Sangay, Primo Ministro del governo tibetano in esilio- senza capire che  è “a causa della negazione del diritto a mettere in atto forme di rimostranza meno estreme che i tibetani scelgono l’autocombustione.” “Abbiamo più volte chiesto al nostro popolo di non ricorrere a gesti tanto drastici come le immolazioni, ma il fenomeno continua anche oggi” ha affermato il capo del governo di Dharamsala.

All’inizio di settembre un alto funzionario cinese ha ribadito che la fase di stallo in cui vertono i dialoghi sino-tibetani continuerà almeno sino alla fine di quest’anno. Se verrà ripresa la questione Tibet, ha spiegato Xu Zhitao, del United Front Work Dipartment, ufficio che dal 2002 rappresenta Pechino davanti agli emissari tibetani – sarà soltanto per intimare al Dalai Lama di “smetterla con i suoi discorsi separatisti e conquistare la fiducia del governo e del popolo cinese”.

La guida spirituale tibetana in una recente intervista alla Reuters aveva parlato di “segni incoraggianti” riferendosi alla prossima generazione di leader che assumerà le redini del paese al prossimo Congresso del Partito, previsto per ottobre. Grandi attese sono riposte nella figura di Xi Jinping, salvo colpi di scena futuro presidente della Repubblica popolare cinese e figlio di Xi Zhongxun, uno dei politici più liberali della Rivoluzione cinese, noto per il suo approccio meno intransigente verso il Tibet.

L’ultimo round dei colloqui tra Pechino e Dharamsala risale al gennaio 2010, da allora il governo cinese si è rifiutato di incontrare la delegazione tibetana. Ma ci sono novità nell’aria: il primo settembre il ricambio al vertice del United Front Work Department ha visto salire alla direzione Ling Jihua, uno degli uomini di Hu Jintao, fino al 31 agosto capo dell’Ufficio Generale del Comitato Centrale del Partito e da alcuni giorni al centro di uno scandalo che vedrebbe coinvolto il figlio. Una “retrocessione”, di fatto, quella di Ling -la cui corsa per una delle poltrone del Comitato Permanente del Politburo, il gotha cinese, è ora tutta in salita- sulla quale Dharmasala non può che riporre grandi speranze.

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