Confermata la vittoria di Dos Santos in Angola, ma scende il suo consenso a Luanda

ROMA – L’attesa, non proprio febbricitante, si è conclusa. La riconferma alla presidenza del leader dell’Mpla Jose Eduardo Dos Santos in Angola è stata confermata in quest’ultima ora.

Tuttavia la vittoria di  Dos Santos è stata evidente fin dai primi dati, che lo davano vincente con il 74% delle preferenze già nel giorno seguente al voto. Dopo la registrazione di oggi delle ultime centinaia di migliaia di schede, il risultato del partito dell’Mpla si attesta sul 75% dei voti, mentre i due partiti principali sfidanti, l’Unita e il Casa Ce, si fermano rispettivamente al 18 e al 6%. Con questa distribuzione dei risultati all’Mpla verranno assegnato 90 dei 130 seggi della circoscrizione nazionale e 80 dei 90 a livello provinciale. L’affluenza al voto è stata del 61,4%, con l’astensione quindi di quasi il 40% della popolazione. Nella capitale Luanda i non votanti sono stati anche di più, raggiungendo il 45%. In questa città si è registrato un peggioramento dei risultati di Dos Santos, che ha preso solo il 58%, con l’Unita al 25% e Casa Ce addirittura il 13%.

Quindi, sebbene a prima vista sembrerebbe esserci una netta continuità, qualche segnale di stanchezza nei confronti del passato comincia ad emergere. L’Mpla, Movimento per la liberazione dell’Angola, artefice della emancipazione del paese dal colonialismo portoghese nonché vincitore della guerra civile che ha consumato il paese per 27 anni, in questi ultimi 4 anni ha perso il 10% dei voti. Nel 2008 infatti, durante le prime elezioni nel paese in tempo di pace, il partito aveva raccolto l’82% delle preferenze. L’Unita, rivale di sempre, in questa elezione ne ha acquistati invece l’8%. Inoltre il risultati negativi di Luanda sono il segnale più chiaro di questa leggera decadenza del 70enne Dos Santos: la capitale è infatti il luogo in cui l’opera dell’Mpla è più evidente, dove le immagini del presidente riempiono i muri e dove, soprattutto, si concentrano le nuove infrastrutture realizzate dal governo. La corrispondente Francesca Spinola racconta infatti di “una nuova Assemblea Nazionale, un fantasmagorico palazzo sovrastato da una enorme cupola che ricalca a dimensioni reali la Basilica di San Pietro a Roma;un lungomare di 3,2 chilometri costruito in 30 mesi con la realizzazione di cinque ponti, due strade a quattro corsie, parcheggi, campi da calcio, piste di pattinaggio, aiuole, sistema idrico di spurgo dell’acqua che scende dalla collina verso il mare, utilizzo di 3000 palme importate dalla California”, insomma di Grandi Opere che hanno poco a che vedere con una popolazione la cui maggioranza vive con 2 dollari al giorno. E tuttavia non possono negarsi i risultati economici del Governo di Dos Santos, ostacolato anche negli anni più recenti da continui tentativi di ritorno al conflitto civile che ha consumato l’Angola fino al 2002.

Dopo la liberazione dal Portogallo infatti, il giovane stato di stampo socialista fu subito contrastato dall’interno dall’Unita, l’Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola, nata nel ’66 dalle ceneri dell’Fnla per volontà di Jonas Savimbi. All’epoca lo scopo di questo movimento era la creazione di uno stato di coloni bianchi a somiglianza di quello creato da Ian Smith in Rhodesia. L’Unita era inoltre un’organizzazione di stampo tribale, i cui adepti venivano reclutati tra i membri della tribù Ovimbundu. Dietro ai due movimenti aleggiavano in realtà le divisioni internazionali della guerra fredda: l’Mpla era appoggiato da Cuba e dall’Urss mentre l’Unita lo era dal Sudafrica e dagli Stati Uniti. La guerra civile scoppia nel 1975. Nel 1991 si tentano i primi accordi di pace e l’anno successivo si tengono le prime elezioni. L’Mpla ne esce vincente ma l’Unita rifiuta il risultato e imbraccia nuovamente le armi. L’accordo di pace definitivo si realizzerà solo nel 2002, dopo l’assassinio del leader dell’Unita Savimbi per mano dell’esercito.

Quelle che si sono tenute il 31 agosto sono allora le seconde elezioni nel paese dopo quelle del 2008 (non contando quelle andate a monte nel 1992). Sono state accompagnate dalle proteste di Unita e Casa Ce contro supposte irregolarità, non rilevate tuttavia dagli 2000 osservatori, 700 dei quali provenienti da altri paesi, presenti sul territorio (e facenti parte tra gli altri dell’Unione Africana, della Comunità dei Paesi di Lingua Portoghese e della Comunità di Sviluppo dell’Africa Australe). Tali proteste hanno generato un clima di tensione alla vigilia del voto: l’incubo della guerra civile è ancora nell’aria e qualsiasi scintilla è percepita come un pericolo per la giovane democrazia. La popolazione è stata invitata alla calma. Alcuni militanti di Casa Ce, movimento con un buon successo tra i giovani, nato da un secessionista dell’Unita, Abel Chivukuvuku, sono stati arrestati alla vigilia del voto. Il presidente della Commissione Nazionale Elettorale (Cne) Andre da Silva Neto, ha assicurato la presenza delle “condizioni necessarie” affinché le elezioni di potessero tenere, in risposta alle richieste di rinvio di Isaias Samakuva, leader dell’Unita. Tuttavia Samakuva assicura ancora in questo momento di essere in possesso di documenti che attestano l’irregolarità delle procedure elettorali e che le renderà pubbliche. Staremo a vedere. Intanto a Dos Santos sono già arrivati i complimenti per la nuova vittoria da parte di Portogallo e Russia. E la sua discesa può essere anche interpretata come un segnale positivo: lontano dall’immagine di un dittatore africano incontestabile, Dos Santos può perdere popolarità essere criticato per le sue scelte politiche. In altre parole la perdita dell’esclusività del potere dell’Mpla potrebbe essere il segnale di una crescita della democrazia e del pluralismo dell’Angola.

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