Cina. Il XVIII Congresso dalla tribuna del popolo

Tra i fasti della Grande Sala del Popolo e misure di sicurezze rigorosissime, il Diciottesimo Congresso Nazionale del Pcc si sta svolgendo secondo la consueta liturgia del Partito, con un presidente Hu Jintao più “grigio” che mai. Oratore per quasi due ore, giovedì Hu ha tirato le somme degli ultimi dieci anni di governo, tracciando le linee guida per i nuovi leader, in carica sino al 2022.

In Cina il turnover politico non brilla certo per dinamismo se raffrontato alle recenti presidenziali americane, che hanno lasciato col fiato sospeso i cittadini durante il countdown verso la nomina dell’inquilino della Casa Bianca. La nuova geometria interna del Pcc, che verrà resa nota il 15 novembre, è frutto di mesi di conclavi a porte chiuse, intese e scontri tra le varie anime del potere. Tutt’altro che monolitico, il Partito vede la propria stabilità minacciata da crepe profonde. Una lotta al vertice ha lasciato sul campo di battaglia una vittima autorevole: l’ex-segretario di Chongqing, stella nascente della politica cinese e sino a febbraio candidato ad uno dei seggi del comitato permanente del Politburo, il massimo organo decisionale del Dragone.

Ma le dinamiche che si celano dietro il passaggio delle consegne ai nuovi “imperatori” sembrano aver interessato più che altro la stampa d’oltremare ed esperti, mentre in patria hanno suscitato qualche critica sul web, lasciando pressocché indifferenti le masse. O meglio tutti coloro non in possesso di un pc e, pertanto, estranei al fermento intellettuale che, da qualche anno a questa parte, anima la rete internet cinese. Nonostante gli sforzi della televisione di stato CCTV nell’esaltare la fede e l’entusiasmo del popolo nei confronti del Pcc, l’aria che si respira tra le strade pechinesi è ben differente. La vita procede regolarmente, senza particolari tensioni, preoccupazioni o manifestazioni di giubilo tra la gente.

“Perchè mi dovrei interessare al Congresso nazionale?” ha affermato un tassista che chiameremo Zhang. “Tutto quello di cui mi devo preoccupare è fare bene il mio lavoro. Le decisioni dei politici non riguardano le persone comuni come me”. Zhang è al volante del suo taxi da più di dieci anni e ciò che più lo tormenta è l’aumento dei prezzi del gas. “Ho lavorato cinque anni per poter comprare due metri quadrati in un appartamento di Pechino” ha spiegato ai microfoni di Want China Times.

Più speranzoso Wu, proprietario di una gioielleria, per il quale il ricambio al vertice porterà una ventata di rinnovamento: “Non seguo molto la politica, ma ripongo grandi speranze in Xi Jinping (il delfino di Hu Jintao ndr). Penso che la Cina si incamminerà nella giusta direzione, verso la democrazia  e la lotta alla corruzione”. L’attenzione cresce quando ci si sposta nel settore del business. Yu è un PR executive e di politica sembra capirci qualcosa in più. “Non è stata una transizione indolore con Liu Zhujin (il corrotto ex ministro delle ferrovie), Bo Xilai, Chen Guangcheng (dissidente cieco al centro di un’ imbarazzante caso Cina-Usa ndr) e le isole Diaoyu (causa di ostilità con il Giappone ndr). La Cina ha tentato di emulare gli Stati Uniti varando un pacchetto di stimoli economici, ma tutti i soldi sono finiti nelle mani dei funzionari” ha affermato Yu “I prezzi delle case sono insostenibili e in futuro diventeranno un problema enorme. I ricchi sono sempre stati soliti nascondere i loro patrimoni. Ora li ostentano acquistando prodotti di marca e auto sportive. Ho come il sentore che Xi Jinping presto ne avrà le mani piene”. Le critiche abbondano anche nella comunità migrante. Wang Jun, un passato da giornalista televisiva in Cina,  adesso vive in Italia da diversi anni e, alle prese con un mutuo, del Congresso non se ne cura. “E’ tutto deciso a priori, non ha senso seguirlo. I leader non sono votati dal popolo”. Invitata a rilasciare un giudizio sui “timonieri” cinesi non ha dubbi: Hu Jintao è troppo serio, Wen Jiabao (il primo ministro uscente ndr) è falso, Xi Jinping “indefinito”. L’unico dotato di carisma -secondo Wang- è proprio Bo Xilai che, grazie ad un volto telegenico e savoir-faire con i media, si è conquistato il titolo di funzionario più “social” di Cina.

Il Congresso a casa
Mentre a piazza Tiananmen, centro politico della capitale, si svolge il “grande diciottesimo”, il partito entra nelle case per fare breccia nei cuori dei cittadini, ricordando loro il passato glorioso dei primi anni di vita del comunismo cinese. E lo fa attraverso uno dei suoi più fidati araldi: la televisione. Durante tutta la durata del Congresso, infatti, i canali nazionali intensificheranno la trasmissione di fiction “rosse”; un tempo veicolo propagandistico di punta, ma oggi affetto da un netto calo di audience, sopratutto a causa dello scarso interesse dimostrato dalla generazione post anni ’80. In questi giorni solenni, ai giovanissimi non resterà che affidarsi alle serie tv americane, centellinate sul piccolo schermo, ma pur sempre reperibili online. Come riporta la Reuters, proprio in concomitanza con l’apertura del consesso, la CCTV ha proposto una serie da 23 episodi, il cui titolo “Yangshan Zhou” si rifà al nome di un ex funzionario, noto per umiltà e vicinanza alle masse. Un quadro modello, insignito di diversi premi postumi tra i quali il “Touching China”.
Ma occorre che il regime riguardi seriamente i palinsesti televisivi se non vuole rischiare di perdere una fetta di pubblico consistente. Il consiglio arriva da diversi esperti tra i quali Xiao Xiao-sui, docente di cultura e teoria dei media presso la Hong Kong Baptist University. Secondo Aegis Media, da gennaio a luglio 2012, gli show patriottici, trasmessi da canali per lo più per un pubblico adulto, hanno registrato un raddoppio dello share. Di contro, canali giovani come, la TV satellitare della provincia dello Hunan, sono stati interessati da un calo dell’80% in concomitanza con la trasmissione delle fiction “rosse”. Ora, mentre nelle case genitori e figli si contendono il telecomando, al Partito non resta che scegliere se puntare a ingraziarsi le nuove generazioni o continuare ad adulare i cuori nostalgici.

“Compagni” per interesse
Nonostante gli ultimi scandali abbiano minato la credibilità del Pcc, secondo quanto riportato sul sito cinese di Deutsche Welle, molti ragazzi ambiscono ancora a diventarne membri. Ma non certo per amor patrio o per il fascino dell’ideologia socialista, piuttosto perché essere un bravo “compagno” aiuta a fare carriera. Il Diciottesimo Congresso? Per molti giovani tesserati non ha nulla a che fare con la propria vita. Tre anni fa una ragazza intervistata dall’emittente tedesca – che ha chiesto di rimanere anonima- è entrata nel Pcc con la speranza di riuscire a trovare un lavoro stabile nei grandi conglomerati statali o in qualche agenzia governativa. Come lei molti giovani hanno dichiarato di considerare la politica un valido trampolino di lancio per il futuro. Quanto alla nuova leadership, le ultime generazioni si sono dette poco ottimiste: le riforme tanto attese si faranno ancora aspettare, mentre lo Shibada – nome cinese del consesso “rosso”- annoia i piani bassi del Partito, estromessi dai rituali di potere. E a dirla tutta, anche nella Grande Sala del Popolo si è visto più di qualche sbadiglio.

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