Siria e Turchia ai ferri corti. Usa, Germania e Olanda appoggiano Ankara

ISTAMBUL – Pochi sono i punti in comune con la crisi di Suez. Quella guerra di nervi giocata a casa di Fidel, ma telecomandata a distanza dalla Casa Bianca e dal Cremlino, fece tremare il mondo.

Poi arrivò quell’atteso dietrofront. E il mondo intero tirò un sospiro di sollievo. Anche quello che oggi sta accadendo al confine tra Siria e Turchia non dovrebbe lasciare troppo tranquilli. La Turchia schiera truppe, batterie antiaeree e blindati sul confine siriano. Sempre in Turchia, direttamente dagli alleati della Nato, arrivano rinforzi: missili e soldati. Israele rafforza le difese sulle alture del Golan. La Siria, intanto, è ormai una polveriera. Assad  è sempre più stretto nella morsa dei ribelli, ma non si limita a guardare. Anzi, stando a quanto affermato da alcune fonti giornalistiche statunitensi, il governo siriano pare abbia impartito l’ordine di lanciare missili Scud contro basi militari del nord del paese cadute nelle mani dei ribelli. Damasco, dal canto suo, nega e parla solo di missili scagliati contro i Jiahdisti. Agli Usa – inutile dirlo – Assad non piace affatto e, qualche giorno fa, dal Pentagono hanno rotto gli indugi riconoscendo finalmente la coalizione di opposizione siriana.

La Francia lo aveva fatto giorni prima e lo stesso primo ministro Francois Hollande lo aveva ricordato con soddisfazione. “La Francia – aveva detto – è stata la prima a riconoscere la coalizione dell’opposizione che oggi è ammessa come legittimo rappresentate del popolo siriano dalla maggior parte dei paesi”. Al momento, tuttavia, riproporre lo stesso copione messo in scena in terra libica non è nei pensieri dell’ ‘Occidente’. Almeno in quelli immediati. Nel frattempo, gli Usa “accontentano” le richieste della Turchia dispiegando lungo i 900 chilometri di frontiera comune due batterie di missili Patriot e 400 soldati in Turchia, al fine di rafforzare le difese dell’alleato. Saranno operative dalla fine di gennaio. L’ordine ufficiale è stato firmato dal segretario alla Difesa americano, Leon Panetta. Una decisione presa in accordo con la Nato che mira a spegnere sul nascere possibili attacchi provenienti dalla Siria. Tale scelta, tra l’altro, rientrerebbe nel piano varato dall’Alleanza atlantica per rafforzare appunto le difese turche tanto che altre due batterie di Patriot a testa saranno fornite da Germania e Olanda. In totale sono sei. Tutte sotto il controllo Nato. La Turchia oggi è un paese a forte rischio di attacchi. Soprattutto chimici – come preannunciato da fonti giornalistiche a stelle e strisce -. Il motivo sta tutto nel fatto che Erdogan si fosse già da tempo schierato apertamente dalla parte dei ribelli. E la vicinanza tra i due paesi acuisce i timori. Dalla Nato, però, arriva una ventata di ottimismo sull’evoluzione del conflitto interno alla Siria. Il segretario generale Anders Fogh Rasmussen, a tal riguardo, ha affermato che “il regime di Damasco è vicino al collasso”. Intanto, in controtendenza con il ciclico cammino che segna il corso delle stagioni, il vento della primavera araba continua a soffiare forte. E non c’è da stare tranquilli. Per ulteriore conferma, chiedere alle migliaia di civili innocenti.

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