Spiragli di pace sulla Siria. Damasco pronto a cedere l’arsenale chimico

WASHINGTON – Col passare delle ore le nubi di guerra che nei giorni scorsi si sono sollevati da Washington verso la Siria e i suoi alleati più temibili come Iran e Russia stanno lasciando spazio, per usare le parole utilizzate da Obama e messe in risalto dalla Cnn, ad ipotesi “sbalorditive”.

La svolta sul possibile attacco da parte dei volenterosi nei confronti del Regime di Assad è arrivata nel tardo pomeriggio di ieri: quando cioè l’interpretazione costruttiva da parte del ministro degli esteri russo Serghei Lavrov su una frase retorica lanciata dal Segretario di Stato degli Stati Uniti John Kerry, in visita a Londra, aveva fatto sperare che il conflitto siriano poteva esser evitato.

Se Assad consegnerà alla comunità internazionale il suo arsenale chimico non ci sarà l’attacco” aveva tuonato l’ex candidato alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 2004. Un fulmine a ciel sereno non pienamente compreso dai presenti, visto che, anche durante l’intervista rilasciata dal dittatore siriano Bashar al Assad all’emittente americana Cbs dal palazzo presidenziale a Damasco all’anchorman americano Charlie Ross, la detenzione di armi chimiche da parte delle forze lealiste era vista come una pura ipotesi, e non una certezza da estirpare. Almeno a parole. Certezza che è però trapelata dal ministro degli esteri di Damasco Walid al Muallem, che durante una visita al suo omologo russo, aveva detto prendere in considerazione l’ipotesi di consegna dell’arsenale di armi chimiche chiesto da Kerry come soluzione all’attacco americano.

Ma la forza della diplomazia e della soluzione politica ad un conflitto nei giorni scorsi apparso sempre più inevitabile e sempre più inquadrato in uno scenario di innesco di effetto domino, ha in queste ore fatta breccia tra il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e di quanto sostegno l’inopportunità di un intervento armato, sia pure senza truppe da terra, in Siria.

In una delle sei interviste della straordinaria maratona audiovisiva che il presidente degli Stati Uniti ha concesso alle principali reti televisive in giornata, Obama ha dichiarato di “uno sviluppo potenzialmente positivo” e di esaminare “in maniera approfondita la proposta russa”. Così tanto da indurre la Casa Bianca, ad incaricare il capo dello staff Denis McDonough, a comunicare ai deputati democratici che la priorità, ora, vada data all’opzione diplomatica e non più a quella militare. In queste ore, infatti, la butade di Kerry è stata favorevolmente accettata anche dalle altre due cancellerie europee più bramose di conflitto: Londra e Parigi. Hollande e Cameron si sono infatti detti favorevoli sull’avvio delle consultazioni con Mosca e Pechino per esplorare seriamente la fattibilità della proposta russa di mettere tutte le armi chimiche siriane sotto controllo in modo da garantire una distruzione verificabile. Nelle ore precedenti avevano manifestato soddisfazione pure il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon e la cancelliera tedesca Angela Merkel, mentre per il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius “Putin ha trovato forse una via d’uscita per se stesso, perché restare attaccato come una roccia a Bashar Al Assad (…) è molto pesante”.

Insomma, a ben vedere e a ben leggere, le nubi che permangono non sarebbero tanto sulla bontà della soluzione, invisa solo ai ribelli del regime di Assad, e a chi vuole approfittare della situazione per sovvertire il regime sciita in una zona nevralgica per quanto concerne alcuni gasdotti che dal Qatar sunnita debbono raggiungere l’Europa passando per la Turchia. Quanto piuttosto l’effettiva realizzabilità del compromesso. A ribadire il concetto ci ha pensato quello che nel gioco del poliziotto buono e quello cattivo (tra Obama e Kerry), ha interpretato sempre quello del cattivo. “Non aspetteremo a lungo Mosca e Damasco, gli Usa non si faranno prendere in giro da eventuali tattiche dilatorie. L’Iran ci sta guardando” ha tuonato Kerry, sbattendo i pugni sul fantomatico tavolo diplomatico che lui stesso ha involontariamente creato. Un tavolo a cui la Siria, ha ribadito oggi di voler partecipare per “rimuovere le ragioni di un’aggressione americana” aderendo al trattato delle armi chimiche del 1993 a cui assieme ad altri sei paesi tra cui Egitto e Israele, Damasco non aveva mai aderito.

Se sulla soluzione diplomatica offerta dalla Russia permane lo scetticismo sotto traccia qualcosa si muove. Soprattutto sulla collina di Capitol Hill, sede delle due camere del Congresso americano. Lassù, non lontano dalla Casa Bianca, un gruppo di 8 senatori bipartisan che compongono solitamente cerchie differenti animate da duri oppositori e forti sostenitori del Presidente, si sta lavorando ad una risoluzione alternativa a quella che nei giorni scorsi è stata presentata in commissione in Senato e che si appresta ad essere votata in questa settimana. La volontà è quella di togliere le castagne dal fuoco ad Obama, stretto dalla volontà di non intervenire e di praticare soluzioni alternative a quella armata per il problema siriano e l’impopolarità che la sua richiesta di intervento al Parlamento, non necessaria, ha suscitato nel dibattito pubblico. Obama, come Presidente degli Stati Uniti può decidere se lanciare un attacco armato senza dover chiedere supporto al Congresso. Ma i precedenti con l’Iraq durante la presidenza G. W. Bush lo hanno convinto a chiedere ai due rami del parlamento il parere su un attacco limitato e incentrato sulla distruzione di obiettivi sensibili del regime di Assad. Alla Camera dei rappresentanti la questione nemmeno sarebbe stata necessaria, visto che il tema bellico, per costituzione, tocca al senato. Ma il Presidente Usa ha deciso di interpellarli entrambi.

Una consultazione dagli esiti imprevisti. La sconfitta da sussurrata è diventata quasi certa in alla Camera dei Rappresentanti e ancorata da una battaglia sul filo di lana al Senato. Nemmeno il consenso tra la gente pulsa verso il sì. Secondo un sondaggio del World Street Journal solo il 24% degli americani crede che rispondere con un attacco armato all’uso di armi chimiche in Siria sia di interesse americano. Il 60% degli americani vorrebbe che il proprio parlamentare dicesse no alla risoluzione proposta da Obama. Il 33% invece crede il contrario. Sempre secondo questo sondaggio, il consenso su come Obama abbia maneggiato il tema siriano è in calo di 7 punti da agosto e si attesta al 28% di beneplacito. Quello che più sorprende è la fetta di persone che crede che gli Stati Uniti debbano farsi gli “affari interni”: circa il 74%. Mosso anche da queste cifre il presidente Obama ha parlato alle 21 ora locale (le 3 di notte in Italia).

Nell’atteso discorso in tv alla nazione durato 15 minuti, il presidente americano ha sottolineato che è “troppo presto” per dire se il piano russo per il disarmo di Damasco “avrà successo”, anche se ha “il potenziale per annullare la minaccia delle armi chimiche senza l’uso della forza”. Obama non ha comunque calato le braghe e ha tenuto il pugno stretto sulla necessità di intervento. “Se non reagiamo, Assad continuera’ ad usare le armi chimiche. E forse altri lo seguiranno”, ha spiegato, “nell’interesse della sicurezza nazionale degli Stati Uniti bisogna rispondere, servirà da deterrente. Quando si deve fermare l’uccisione di bambini con i gas gli Stati Uniti hanno il dovere di agire”. Un messaggio come preventivabile ambivalente, che apre sì le porte alla soluzione diplomatica, ma che ribadisce la necessità di un attacco in caso di fallimento. Un fallimento che si potrebbe concretizzare qualora si verificasse uno sbeffeggiamento tramite atti di non serietà nella distruzione della armi da parte di Damasco. In quel caso, allora, la soluzione bellica sarebbe meno ingiustificata. 

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