Peer Steinbrück e la regressione della sinistra

ROMA – Chi ha seguito da vicino la campagna elettorale tedesca, la descrive come la peggiore di sempre: brutta, noiosa, priva di idee e contenuti e, soprattutto, priva di un effettivo confronto tra i candidati dei due principali schieramenti. Afferma, ad esempio, l’insigne politologo Ekkehart Krippendorff: “Non c’è una reale differenza tra i partiti, soprattutto perché non ci sono idee e temi sui quali dibattere davvero.

L’unica differenza tra Merkel e Steinbrück è nella retorica che usano. Messa lì a decorare parole vuote”. Ancora più aspro è il giudizio del celebre intellettuale progressista Peter Schneider, secondo cui le ragioni del successo della Merkel vanno ricercate nel fatto che “ha capito che i tedeschi desiderano pace e tranquillità più d’ogni altra cosa al mondo. Con il suo aspetto normale, l’assenza di stile brillante, la sua banalità, conquista l’uomo della strada”. Insomma, per dirla in breve, la Merkel e i suoi compagni di strada della CDU e della CSU, già vincitori delle regionali bavaresi di domenica scorsa, non hanno alcun timore di presentarsi per quello che sono mentre Steinbrück e l’SPD sembrano non fare altro che vergognarsi di essere di sinistra e di esprimere qualche princìpio di solidarietà, umanità, giustizia sociale e redistribuzione della ricchezza.

Ne consegue che domenica prossima la Merkel è destinata a stravincere, riuscendo forse perfino a ricomporre l’alleanza di governo con i liberali dell’FDP, nel caso in cui questi ultimi dovessero superare lo sbarramento del 5 per cento ed entrare in Parlamento, mentre l’SPD e il suo pallido candidato sono destinati a subire una sconfitta di proporzioni storiche e allarmanti, a dispetto di alcuni sondaggi che li danno in leggera ripresa.

Tutto questo, spiace dirlo, dovrebbe indurre la sinistra europea a riflettere attentamente sui propri errori perché sono circa vent’anni (da quando, con Blair, Schröder e Clinton, si è affermata la teoria giddensiana della Terza via che ha riposto in soffitta il raffinato pensiero keynesiano per sostituirlo con il disastroso abbraccio del neo-liberismo reaganian-thatcheriano) che le forze progressiste del Vecchio Continente hanno smarrito la propria funzione, la propria missione sociale e la loro stessa ragion d’essere. Non solo: convertendosi al capitalismo sfrenato, abbandonando la difesa del welfare e dei ceti sociali più deboli e arrivando addirittura a sostenere le virtù nascoste di un libero mercato che, in realtà, non ha fatto altro che creare miseria, instabilità sociale, degrado dei rapporti umani e la scomparsa di concetti imprescindibili quali la qualità del lavoro e la dignità dei lavoratori, si sono di fatto trasformate in copie mal riuscite, e dunque per nulla convincenti, della peggior destra dai tempi dei regimi totalitari della prima metà del Novecento, arrivando addirittura a demonizzare la parola “ideologia”, neanche si trattasse di una bestemmia.

Solo così, con questa resa culturale mista all’isteria collettiva di voler sembrare moderni a tutti i costi, si può giustificare la folle scelta di un partito, l’SPD per l’appunto, di sacrificare le proprie punte di diamante, peraltro amatissime dalla base (il presidente Sigmar Gabriel e la governatrice del Nord-Reno Vestfalia, Hannelore Kraft), per puntare su un personaggio scialbo, incolore, privo della benché minima grinta, gaffeur di professione al punto da mandare su tutte le furie persino un uomo pacato come il presidente Napolitano (che lo scorso marzo, mentre era in visita ufficiale in Germania, si rifiutò di incontrarlo a causa delle sue frasi offensive e fuori luogo a commento delle recenti elezioni italiane) e, sotto molti punti di vista, assai più a destra della stessa Merkel, tanto da disgustare quella parte del tradizionale elettorato socialdemocratico che fatica a riconoscersi nelle idee di un candidato che, da ministro delle Finanze della prima Grosse Koalition guidata dalla Cancelliera, decise di introdurre l’obbligo del pareggio di bilancio (Schuldenbremse) in Costituzione.

Se a questo, poi, aggiungiamo che, pur di non sottoporsi al giudizio degli elettori, l’SPD si è rifiutato persino di seguire l’esempio del PD e del Partito Socialista Francese, negando le primarie a un popolo che non vedeva l’ora di cimentarsi con questa sfida, comprendiamo ancora meglio le ragioni del distacco, della disaffezione e del disincanto che domenica prossima finiranno col premiare, ben al di là dei suoi meriti, una donna priva di una qualunque visione politica e sociale, priva di un’ideologia di riferimento, priva dell’afflato europeista del suo mentore Kohl e in grado unicamente di rassicurare i tedeschi sul fatto che, con lei a Berlino, potranno continuare a guardarsi serenamente l’ombelico mentre il resto d’Europa esplode, le esportazioni scendono, la domanda interna inizia a languire, il mercato del lavoro, soprattutto a causa delle catastrofiche riforme anti-sociali e ultra-liberiste promosse da Schröder con la famosa “Agenda 2010”, rimane tra i più ingiusti e faticosi d’Europa e la crisi comincia a farsi sentire anche in una Nazione che fino a qualche mese fa si considerava invulnerabile.

Non sarà, dunque, la destra a vincere ma la sinistra a meritare fino in fondo di perdere, vittima della sua regressione culturale, della sua mancanza di coraggio, della sua incapacità di ascolto, della sua scarsità di proposte, dei suoi continui cedimenti sul piano etico, della sua totale assenza di princìpi e valori e, più che mai, duole doverlo ammettere, della sua assoluta inadeguatezza nell’esprimere una visione radicalmente alternativa della società e del mondo, fondata sull’idea che la dignità degli esseri umani venga prima dei capricci dei mercati.

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