Iran-Usa, prove di disgelo. Rohani non promuoverà l’armamento nucleare

WASHINGTON – Dopo l’abbandono delle armi chimiche della Siria potrebbe esser giunto il momento di quello delle (presunte) armi nucleari iraniane. E’ disgelo tra Washington e Teheran. Dopo 34 anni guerra fredda e di inimicizie i due stati potrebbero di nuovo tornare a dialogare.

Questione di tempo, forse di pochi giorni. A giorni infatti Barack Obama e il nuovo presidente iraniano Hassan Rohani potrebbero sedere attorno ad un tavolo e aprire la strada ad un nuovo storico dialogo. L’incontro potrebbe avvenire già a New York durante la 68esima assemblea generale dell’Onu.

Tutti i segnali fanno presagire che le trattative sono a buon punto. Da tempo, secondo gli esperti, tra i due (ex?) rivali ci sarebbero dialoghi improntati alla cooperazione. Ma nelle ultime ore, da silenti, i segnali di apertura sono diventati pubblici. Come già avvenuto con il russo Vladimir Putin e il dittatore siriano Bashar Al Assad, storici alleati con l’Iran, a tre mesi dall’elezione Rohani ha interagito con i media statunitensi. Lo ha fatto con un intervista alla tv Nbc e ad un articolo esclusivo sul Washington Post. Entrambi sono, come talaltro annunciato durante la sua campagna elettorale, con toni concilianti e di apertura verso gli Stati Uniti e l’Occidente.

Dall’articolo sul celebre quotidiano americano Rohani ha chiesto di “abbracciare l’opportunità offerta dalle ultime elezioni” ossia quella di “di rispondere sinceramente agli sforzi del mio governo di impegnarsi in un dialogo costruttivo”. Tutto questo nei giorni in cui il presidente americano ammetteva ad un intervista alla rete Abc News di aver scambiato lettere con Rohani.

Storicamente da Teheran passano molte delle acredini della americane nella regione. Dal conflitto con Israele, storico alleato americano, alla Siria. E’ noto infatti che assieme agli Hezbollah libanesi Teheran sia uno dei maggiori sostenitori del regime di Assad. “Dobbiamo unire le forze costruttivamente per il dialogo nazionale, sia in Siria che in Barhein” scrive Rohani su WP, aprendo di fatto nuove strade verso la risoluzione del conflitto interno siriano tra le truppe lealiste e i ribelli, e sul versante del piccolo emirato peninsulare, da tempo assalito da frizioni sulla maggioranza sciita. Tutte situazioni in cui il governo di Teheran potrebbe giocare carte interessanti nella mediazione.

Non solo la Siria e il Barhein sul tavolo diplomatico. Il disgelo potrebbe passare anche attraverso la scarcerazione dell’attivista Nasrin Sotoudeh e la liberazione di Mehdi Karroubi e Mur Hussein Moussavi, due leader dell’Onda Verde repressa con la forza dal predecessore Ahmadinejad nel 2009. Il che rappresenterebbe la chiusura di un cerchio aperto nel lontano novembre del 1979, quando i due anni di rapimento di 52 ostaggi americani nell’ambasciata americana a Teheran sancirono la rottura delle relazioni diplomatiche con Washington e l’inizio di una guerra fredda lunga un trentennio.

Il tema cruciale però rimane il nucleare. Obama ha più volte asserito la volontà di porre termine alla minaccia nucleare di Teheran. Una minaccia che per bocca del suo nuovo presidente semplicemente non esiste. Nell’articolo al WP nessuna menzione esplicita è stata fatta alla corsa all’armamento nucleare. Quanto piuttosto forte è stata la rivendicazione di un “pacifico programma energetico basato sul nucleare” necessario “per diversificare le risorse energetiche” in linea con un una risposta “all’esigenza di dignità e rispetto” del proprio posto all’interno della comunità internazionale. Più esplicito invece il riferimento all’armamento nucleare all’interno dell’intervista ad Ann Curry della Nbc News, in cui sostanzialmente Rohani ha dichiarato che il nuovo governo iraniano “non svilupperà mai armi nucleari in nessuna circostanza”.

Sulla questione, come inevitabile, regna lo scetticismo da parte americana. Non tanto sulla qualità dei contenuti e sulla bontà dei precedenti segnali (positiva anche la rottura con il predecessore Ahmadinejad sul non aver mai negato l’Olocausto) quanto piuttosto incentrato sulla cautela. “Da Teheran arrivano cose molto interessanti ma le azioni sono più importanti delle parole” è stato il commento del portavoce della Casa Bianca Jay Carney. “Le sanzioni internazionali – ha proseguito hanno causato enormi danni all’economia iraniana e Rohani ha messo in chiaro che vuole risolvere questo problema. Per farlo deve dimostrare che parla sul serio e rispettare gli impegni internazionali sul dossier relativo al nucleare”. Più drastica la posizione dell’ufficio del premier israeliano Benjamin Netanyahu secondo cui “una reale sospensione del programma nucleare (potrà avvenire, ndr) soltanto fermando tutte le attività di arricchimento dell’uranio, consegnando tutto l’uranio arricchito, smantellando la struttura di Qom e chiudendo la filiera di plutonio” un po’ sulla scia della soluzione siriana.

Il versante che nutre meno dubbi è certamente quello che asserisce al cambio di rotta di Teheran per via della crisi economica inasprita dalle scure imposte dalle sanzioni internazionali. La creazione dei posti di lavoro per i giovani promesso in campagna elettorale, la riduzione dell’inflazione dello riyal e l’aumento dell’esportazione del petrolio non possono non passare da un atteggiamento più aperto rispetto a quello messo in atto da Ahmadinejad.

 

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