Soldato israeliano colpito a morte su di un autobus

TEL AVIV – Pugnalato a morte questa mattina un soldato israeliano di 20 anni, mentre viaggiava in autobus, da un ragazzino palestinese di 16 anni. Il militare sarebbe poi deceduto a causa delle ferite riportate, poche ore dopo in ospedale. L’assassinio è avvenuto nella cittadina di Afula, nel nord di Israele, zona in cui, a detta della polizia israeliana, il ragazzino non aveva i permessi necessari per transitare. 

Secondo la ricostruzione dei fatti, il giovane palestinese, originario di Jenin, in Cisgiordania, sarebbe salito sull’autobus che da Nazareth sarebbe poi arrivato ad Afula, il capolinea, e una volta giunto lì avrebbe accoltellato il soldato, totalmente preso alla sprovvista.

Apparentemente le motivazioni insite nel gesto del sedicenne risalirebbero alla incarcerazione di alcuni parenti avvenuta in Israele, ma Micky Rosenfeld, portavoce della polizia israeliana, è convinto che l’attentato si inserisca in una più complessa rete di piccoli e grandi attacchi terroristici dovuti a motivazioni prettamente nazionaliste. 

Immediate le dichiarazioni di Hamas, tramite il suo portavoce Fawzi Barhoum, che si congratula con il giovane attentatore sulla sua pagina di Facebook, dichiarando: “questo è un atto eroico di resistenza che dimostra come tutti i metodi di oppressione e terrore non hanno, e non avranno mai, la capacità di fermare il Jihad condotto dalla resistenza”.

Delicati equilibri nelle trattative di pace

L’attentato di stamane si inserisce anche nel più ampio contesto de negoziati di pace che si stanno svolgendo in questi giorni tra Israele e Palestina. Trattative ad un passo dal fallimento dovuto alla proposta di un piano, voluto dal ministro per gli alloggi Uri Ariel, per un nuovo appalto di 24mila alloggi per i coloni in Cisgiordania. Deciso l’intervento di Abu Mazen che dichiara l’immediato ritiro del governo palestinese dai negoziati nel caso in cui il progetto non venga fermato. In poche ore un comunicato ufficiale siglato da Netanyahu, conferma lo stop del progetto.

Le intenzioni di Ariel, però, non hanno fatto infuriare solo il presidente palestinese ma anche la portavoce del dipartimento di Stato americano, Jen Psaki, la quale ha tenuto a precisare che “la nostra posizione sugli insediamenti è piuttosto chiara: non accettiamo la legittimità di continue attività di insediamento e abbiamo invitato entrambe le parti a fare passi mirati a creare un’atmosfera positiva per i negoziati”.

Il piano, che sarebbe costato ben 10 milioni di euro, secondo fonti note al quotidiano israeliano Haaretz, pur se applicato facendo attenzione alle zone pericolosamente calde, come la zona E1, avrebbe comunque creato situazioni di precaria sicurezza nell’insediamento di Givat Haeitam, a Efrat e sulle colline intorno al blocco di Gush Etzion.

Una serie di costruzioni che, se portate a compimento, avrebbero comportato uno stallo definitivo nei negoziati di pace, idea supportata anche da Yariv Oppenheimer, presidente dell’organizzazione pacifista israeliana Peace Now, che ha paventato “la distruzione della possibilità di una soluzione dei due Stati” per due popoli. “I colloqui di pace – continua Oppenheimer – sono ormai solo per la scena”. 

Il vicepremier Shalom, esponente del Likud, il partito della destra tradizionale che fa capo a Netanyahu, appare di tutt’altro avviso, mostrandosi addirittura stupito, in un primo commento, del clamore suscitato dalla notizia: ”Una mosca viene adesso trasformata in un elefante”’.

 

 

 

 

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