Sudan. Donna incinta condannata a morte perché cristiana

ROMA – Vergognosa condanna in Sudan, dove  un giudice ha inflitto la pena di morte per apostasia a una donna cristiana incinta all’ottavo mese. Meriam Yeilah Ibrahim, 27 anni, ha già un figlio di 20 mesi che si trova con lei in carcere. Il magistrato di un tribunale di Khartum ha stabilito che la donna ha abbandonato la sua fede, in quanto il padre era musulmano, e l’ha anche condannata a 100 frustate per adulterio in quanto sposata con un cristiano con un matrimonio che non è considerato valido dalla ‘sharià. 

Il giudice le aveva chiesto di rinunciare alla fede per evitare la pena di morte: «Ti abbiamo dato tre giorni di tempo per rinunciare, ma insisti nel non voler ritornare all’Islam. Ti condanno a morte per impiccagione», ha detto il giudice Abbas Mohammed Al-Khalifa rivolgendosi alla donna con il suo nome musulmano, Adraf Al-Hadi Mohammed Abdullah. La giovane ha reagito senza tradire emozione quando la sentenza è stata letta. Poco prima, un imam era entrato nella gabbia degli accusati e le aveva parlato per circa 30 minuti. Al termine, lei si è rivolta al giudice e con calma ha detto: «Sono cristiana e non ho mai commesso apostasia».

Secondo quanto ricostruito da un gruppo a tutela dei diritti umani, Christian Solidarity Worldwide, la donna è nata da padre sudanese musulmano e madre etiope ortodossa; abbandonata dal padre quando aveva 6 anni, Meriam è stata cresciuta nella fede cristiana. Ma poichè il padre è musulmano, è considerata tale dal diritto sudanese, il che rende nullo il matrimonio con chi non è musulmano. Secondo il portavoce del gruppo, Kiri Kankhwende, nei casi analoghi di donne incinte, il governo sudanese ha atteso che le donne partorissero prima di eseguire la sentenza capitale. Amnesty International ha definito «ripugnante» che una

donna possa essere cnodannata a morte per la sua fede religiosa, o frustata perchè sposata a un uomo di religione diversa. 

A difesa di Meriam, in attesa della sentenza, erano già scese in campo alcune ambasciate occidentali a Khartum. «Chiediamo al governo del Sudan -si legge in un comunicato diffuso in maniera congiunta dalle rappresentanze di Usa, Gb, Canada e Olanda- di rispettare il diritto di libertà di religione, compreso il diritto di ciascuno di cambiare la propria fede o le proprie credenze, un diritto che è sancito dal diritto internazionale e dalla stessa Costituzione ad interim sudanese, del 2005». Nel comunicato, si chiedeva anche «alla magistratura sudanese di affrontare il caso della signora Meriam con giustizia e compassione, in linea con i valori del

popolo sudanese».

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