Costa D’Avorio: battaglia finale tra Gbabo e Quattara

ABIDJAN – Si continua a combattere in Costa D’Avorio. Nel Paese africano, dopo le elezioni presidenziali dello scorso novembre, sono trascorsi oltre quattro mesi senza che sia stato ancora definito chi debba essere il nuovo capo dello stato.

O meglio in questi mesi la situazione di stallo è stata generata dalla crisi politica seguita al non riconoscimento da parte del presidente uscente Laurent Gbagbo, al potere dal 2000, della vittoria del suo rivale politico, Alassane Ouattara, già primo ministro. Nel 2007 un accordo di pace aveva portato al governo i ribelli settentrionali di Guillame Soro, con i quali si è poi alleato Ouattara. Le elezioni presidenziali, svoltesi in due turni a ottobre e a novembre scorsi, dovevano completare il processo di pacificazione iniziato nel Paese africano nel 2000 e dopo che erano state rimandate per ben sei volte dalla scadenza del mandato di Gbagbo scaduto nel 2005.

Mesi in cui la comunità internazionale ha dimostrato di non saper gestire la crisi ne tantomeno mediare tra le parti in conflitto. In questi giorni però, la situazione sta volgendo verso un esito drammatico. Dopo mesi di battaglie e massacri si avvicina ora la resa dei conti tra i due antagonisti. La battaglia finale tra Gbabo, che nonostante la sconfitta elettorale riconosciuta anche dalla comunità internazionale, non vuole cedere il potere e Quattara che reclama il diritto a governare il Paese africano è ormai prossima. Nonostante i numerosi appelli al presidente uscente della Costa d’Avorio, impegnato in una sanguinosa resistenza al successore Ouattara, a cedere immediatamente il potere questi è più che mai deciso a non farlo.

 

Per il presidente Gbabo quello di Quattata è un colpo di Stato post-elettorale sostenuto da una coalizione internazionale guidata dalla Francia e dagli Stati Uniti. Quattara, con il 54 per cento dei voti, era stata proclamata vincitore delle elezioni presidenziali dalla commissione elettorale il 2 dicembre scorso. Però, il 3 dicembre successivo il Consiglio costituzionale, controllato da Gbabo, invalidava il risultato in sette province, proclamando di conseguenza vincitore il presidente uscente. Da quel momento si è scatenata una sanguinosa battaglia. A fronteggiarsi sul terreno le Forze Repubblicane  composte dagli ex ribelli che dal 2002 controllano il nord del Paese e fedeli a Quattara e le Forze di Sicurezza rimaste fedeli al Presidente uscente Gbabo. Le truppe pro Quattara dopo aver conquistato la capitale politica Yamoussoukro e San Pedro, porto strategico per l’esportazione del cacao, lo scorso 28 marzo hanno lanciato l’offensiva finale arrivando a cingere d’assedio anche la capitale economica e città più popolosa del Paese, Abidjan. Nella città si trova il Palazzo Presidenziale dove fino ad ieri era asserragliato Gbagbo e di cui ora nessuno sa più dove si sia rifugiato. L’ormai ex presidente ivoriano può contare solo su pochi uomini. Si tratta di 2.500 fedelissimi della Guardia repubblicana, un migliaio di forze speciali e di decine di bande dei giovani patrioti. Come sempre l’ONU anche in questa occasione si è dimostrato debole. I caschi blu della Onuci, la missione di pace delle Nazioni Unite in Costa d’Avorio dispiegata nel Paese e lungo la linea di demarcazione tra nord e sud, che dovrebbero usare tutti i mezzi necessari per proteggere i civili non hanno fatto nulla. Come nemmeno i soldati francesi della missione Liocorne. La missione militare francese agisce in maniera distinta ma complementare alle forze di pace dell’ONU. Nessuno almeno fino ad oggi pomeriggio si era frapposto tra le milizie di Ouattara e la guardia repubblicana fedele a Gbagbo per difendere la popolazione civile. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU nei mesi scorsi ha rinnovato di sei mesi il mandato della missione Onuci. Nel frattempo Gbagbo  inutilmente aveva intimato ai caschi blu e ai militari francesi di lasciare il Paese.  Da più parti sono giunte accuse verso Parigi e Washington per aver fornito armi, consulenza e informazioni agli uomini di Quattara.

 

E’ chiaro che il tempo di Gbabo è finito. A giocare contro di lui anche la forte inimicizia con la Francia. Un’inimicizia che di fatto si sta rivelando vincente per Quattara che nel governo di Parigi ha trovato il suo migliore alleato. Proprio oggi i caschi blu dell’ONU e i militari francesi dispiegati in Costa d’Avorio hanno compiuto azioni militari ad Abidjan attaccando gli uomini del presidente uscente Gbagbo. Il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon si è affrettato a spiegare che i raid lanciati in Costa d’Avorio dalle truppe francesi e delle Nazioni Unite sono mirati a proteggere i civili e non ad attaccare il presidente uscente Laurent Gbagbo. Il supporto delle forze francesi della missione Liocorno sarebbe stato richiesto ufficialmente dal Palazzo di Vetro e il via libera è stato dato dal presidente Nicolas Sarkozy in persona. Però, in verità elicotteri delle Nazioni Unite e francesi hanno aperto il fuoco anche contro il palazzo presidenziale e la residenza di Gbagbo. Colpiti anche due basi delle truppe fedeli al presidente uscente ad Akouedo e Abgan. L’Onuci ha spiegato di essere intervenuta in collaborazione con la forza francese ‘Liocorno’ in conformità con il proprio mandato e la risoluzione ONU 1975. In questi mesi in un inevitabile crescendo di violenze fra le parti opposte a farne le spese sono state soprattutto le popolazioni civili. Oltre un milione di persone hanno cambiato il loro status in profughi per sfuggire al dramma della guerra ed hanno lasciato la Costa d’Avorio. Come spesso accade nel continente africano lo scontro ha risvegliato rivalità etniche fra il nord a maggioranza musulmana e il sud prevalentemente cristiano. Proprio in concomitanza con la conquista da parte degli uomini di Quattara dei principali centri abitati del sud del Paese africano il flusso di profughi in fuga dalle violenze ha subito una forte impennata verso l’alto. Alcune dei profughi che in questi giorni arrivavano dai villaggi in cui si sono svolti i combattimenti si mostravano profondamente traumatizzate. Molti hanno subito delle violenze o gli hanno sparato. Molti infatti, presentano ferite da arma da fuoco o hanno dovuto assistere all’uccisione di loro familiari. Una situazione questa cha ha portato, lo scorso primo aprile, i rappresentanti dell`Alto commissariato ONU per i diritti umani a parlare di forti timori per la violazione dei diritti umanida parte delle milizie vicine a Ouattara specie nell’ovest del Paese. Anche Human Rights Watch ha accusato però, entrambe le parti di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Denuncia queste che seguono quella lanciata la scorsa settimana dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, che aveva reso nota l’uccisione di almeno ottocento persone in un unico giorno lo scorso 29 marzo. Una vera e propria esecuzione di massa avvenuta a Duekoue capoluogo dell’omonimo dipartimento nella regione di Moyen-Cavally, nell’ovest del Paese. Come è logico che sia di questi crimini, indipendentemente dallo schieramento a cui sono imputati, sarà investito il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja. In merito un portavoce delle forze che sostengono Ouattara ha spiegato che le persone uccise a Duekoue erano miliziani e non civili.

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