Pirateria somala: sventato sequestro di altri marittimi e nave italiani

MOGADISCIO – Un’altra nave battente bandiera italiana è stata attaccata dai pirati somali. Si tratta della ‘Alessandra Bottiglieri’. La nave fa parte della flotta della compagnia di navigazione napoletana Giuseppe Bottiglieri Shipping Company Spa di Torre del Greco con sede in Piazza Bovio a Napoli. La nave varata nel 1982 in origine si chiamava Ugo de Carlini ed è impiegata sulle grandi rotte internazionali per la movimentazione di carichi di minerali, carbone e grano.

L’attacco pirata è avvenuto intorno alle 15 ora italiana al largo del porto di Cotonou in Benin. L’ ‘Alessandra Bottiglieri’  era in attesa di poter attraccare e scaricare il suo carico. A compiere l’arrembaggio una decina di pirati a bordo due barchini veloci. Il loro tentativo di attacco è stato per fortuna respinto. A bordo della nave 22 marittimi. Si tratta dei membri dell’equipaggio composti da 6 italiani e 16 indiani. A finire nel mirino dei predoni del mare somali ancora una volta una nave di una società armatoriale napoletana. Nelle mani dei pirati somali è infatti, dall’8 febbraio scorso, la petroliera italiana ‘Savina Caylin’ della compagnia marittima partenopea Fratelli D’Amato. Insieme alla nave, catturata nell’Oceano Indiano ed ora alla fonda al largo del covo pirata di  Harardheere sulle coste del Puntland, la moderna Tortuga,  trattenuto in ostaggio anche il suo equipaggio di 5 italiani e 17 indiani. Praticamente se ai moderni filibustieri fosse riuscito il colpo avrebbero raddoppiato uomini e navi loro ostaggi. I pirati non rilasceranno mai quelli che hanno in mano. Non lo faranno almeno finchè il governo italiano o la loro compagnia di navigazione non pagheranno un riscatto. Della vicenda della ‘Savina Caylin’ proprio oggi ha parlato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito. Il membro del governo Berlusconi l’ha fatto rispondendo durante il ‘Question Time’ a un’interpellanza del deputato Luigi Musso, Fli.

 

Il ministro Vito ha affermato: “la Farnesina, insieme a tutti i componenti di governo, sta assicurando la massima collaborazione per la tutela dell’equipaggio e si tiene in costante contatto con i familiari dei cinque italiani a bordo”. Il ministro ha anche ricordato che il governo si è immediatamente attivato dopo che la nave è stata sequestrata mentre navigava nelle acque dell’Oceano indiano. Vito ha anche spiegato che i familiari dell’equipaggio hanno potuto comunicare direttamente con i propri cari ricevendo rassicurazioni sulle condizioni di vita a bordo. Dopo l’intervento del ministro il deputato Musso ha auspicato un più forte interessamento del governo alla vicenda senza delegare all’armatore la trattativa che sarebbe in corso. Il pessimismo che ruota intorno alla vicenda della petroliera italiana viene soprattutto dai familiari dei 5 marittimi italiani ostaggi dei pirati somali. Di loro, in verità, hanno ben poche notizie. Dopo che l’11 febbraio scorso la Fregata ‘Zeffiro’ della Marina Militare italiana, allora operante nel mare dei pirati nell’ambito della missione antipirateria della Ue, Atalanta e che ora ha lasciato la zona, era giunta a ridosso della petroliera dopo un lungo inseguimento una volta che era stato lanciato dalla petroliera l’allarme attacco pirata, non hanno saputo più nulla. Farnesina e ministero della Difesa hanno imposto un black out alle informazioni per poter meglio operare. In verità si è creata una situazione di stallo di cui ne stanno pagando le conseguenza soprattutto i cinque marittimi italiani: il comandante, Giuseppe Lubrano Lavadera campano di Procida, il terzo ufficiale di coperta, Crescenzo Guardascione campano di Procida, l’allievo di coperta, Gianmaria Cesaro campano di Piano di Sorrento, il direttore di macchine, Antonio Verrecchia laziale di Gaeta, il marittimo Eugenio Bon, trentino di Trieste. Dalle poche notizie filtrate pare che siano guardati a vista e che si debbano procurare il cibo da soli, pescandolo nel mare che li circonda. “Siamo come Robinson Crusoe. Ci hanno dato una lenza e ci tocca pescare il cibo in mare”, ha raccontato al telefono ai suoi familiari in Italia Eugenio Bon, uno dei cinque ostaggi italiani in mano ai pirati somali. Eugenio compie 30 anni, il prossimo 30 aprile. Forse lo festeggerà in prigionia. Ufficialmente l’Italia ha scelto di affrontare l’emergenza pirateria marittima con i metodi della trattativa diplomatica. Però, finora non è mai successo che i pirati abbiano rilasciato una nave senza ottenerne in cambio il pagamento di un riscatto. Anche se lo nega l’Italia ha finora sempre pagato!

 

Chi è a casa in Italia si chiede continuamente e con angoscia come sta il proprio caro e cosa si stia realmente facendo per garantire il suo ritorno a casa sano e salvo. Queste persone che sono in Italia si chiedono quali siano i risultati finora raggiunti dal Ministro degli affari Esteri. Essi però, sono senza notizie, senza rassicurazioni ed è immaginabile la risposta che ricevono quasi in automatico: “l’Unità di crisi della Farnesina è al lavoro, non vi preoccupate”. Ed  invece, visti i precedenti, bisogna preoccuparsi. Questi uomini di mare sono dei lavoratori e non certo dei soldati. Essi non vanno nel mare del Corno D’Africa a combattere una guerra, ma a lavorare e di conseguenza non sono preparati a sopportare le angherie e le privazioni che invece, si sa che chi cade nelle mani dei pirati somali subisce. La certezza  viene anche dal racconto fatto al loro ritorno in Patria dai marittimi del rimorchiatore d’altura ‘Buccaneer’. La nave italiana insieme al suo equipaggio venne tenuta in ostaggio per quasi 4 mesi dai pirati somali, dall’11 aprile al 9 agosto 2009. A bordo oltre a 10 rumeni vi erano 6 marittimi italiani. I marittimi del Buccaneer hanno vissuto una terribile esperienza che ha segnato la vita di molti di loro e dei loro familiari. Il peggio è che sono stati lasciati soli dallo Stato ad affrontare i ‘fantasmi’ della loro prigionia. Anche allora, come nel caso della Savina Caylin, la Farnesina impose il silenzio stampa giustificandolo dalla necessità di riservatezza sulle operazioni in corso e sulle iniziative che s’intendano assumere per la soluzione della delicata vicenda. Ed invece, è emerso poi, che era solo un modo per camuffare la loro impossibilità a gestire la vicenda senza validi contatti sul posto. In cambio del Buccaneer e del suo equipaggio hanno dovuto scambiare qualche prigioniero somalo, rilasciato dalle prigioni somale, e sganciare diversi milioni di dollari. Sono almeno 4 quelli andati ai pirati somali. Altri sono andati ad ambigui intermediari e presunti funzionari del governo somalo.

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