Pirateria marittima: il lamento dei parenti dei marittimi ‘Rosalia D’Amato’

ROMA – Dalle Filippine giunge il lamento disperato, ma composto dei parenti e amici dei 15 marittimi filippini ostaggi dei pirati somali a bordo della ‘MV Rosolia D’amato’. Si tratta dei fratelli dei marittimi, Raymundo Lequin jr e Edgar Erbert, un amico del fratello di quest’ultimo e la moglie di un altro dei marittimi filippini ostaggi a bordo della nave italiana.

Queste persone, nella loro umiltà e fede incommensurabile in Dio hanno affidato a poche, ma significative parole, tutto il loro sentimento di  speranza e di fiducia. Julito B. Lequin scrive del fratello: “Mio fratello più giovane, Raymundo Lequin jr. è anche lui sulla Rosalia, la nave della D’Amato.

 

Tutti i giorni stiamo qui  nelle Filippine a preoccuparci per la sua sorte, specie mia madre. Noi tutti preghiamo per la sua sicurezza  e che tutto vada bene  e che possa tornare a casa”. Bibano Erbert  invece, scrive del fratello: “Mio fratello Edgar è uno dei membri dell’equipaggio del MV Rosalia D’Amato.Ihope n Pray that my brother and all of the crew were safe and ok. Prego che mio fratello e tutti gli uomini dell’equipaggio stiano al sicuro e bene. La speranza è in un intervento immediato del proprietario della MV Rosalia D’Amato”. Joemar, un amico di  Bibano invece, scrive: “a nome del fratello di Edgar stiamo pregando per la salvezzaa e l’immediato salvataggio di tutto l’equipaggio della suddetta nave e per i dirottatori ci auguriamo che ci sarà il giudizio finale di Dio. E a quell’equipaggio voglio dire anche di avere coraggio perché Dio è con voi”. Una donna, moglie di uno dei marittimi filippini ostaggi in Somalia, invece, scrive: “Mio marito è a bordo e speriamo che sia tutto ok. Non è una bella sensazione andare a letto e svegliarsi la mattina presa da mille preoccupazioni. Per favore, per favore fateci sapere qualcosa sulla nave e sull’equipaggio che è a bordo”. Sono parole da cui traspare un forte senso di abbandono da parte delle loro istituzioni, e un forte desiderio di ricevere una parola di speranza a cui aggrapparsi nel loro dolore. La nave battente bandiera italiana è di proprietà della compagnia marittima napoletana, F.lli D’Amato ed è stata catturata lo scorso 21 aprile dai pirati somali.

 

Insieme alla nave catturati anche i 21 membri dell’equipaggio. Si tratta di lavoratori del mare di nazionalità filippina e di altri sei di nazionalità italiana. Da allora i loro parenti, in Italia e nelle Filippine, non hanno più saputo nulla dei loro cari in mano ai pirati somali. In poche parole nessuno di loro ha idea delle condizioni dei loro cari, dove sono e se sono ancora vivi. Ovviamente di questo vuoto devono dare conto a loro i propri governi, a Manila e a Roma. Purtroppo è risaputo che finchè una situazione sgradevole accade ad altre persone nemmeno ci pensi, ma quando ti colpisce in prima persona, direttamente o indirettamente, allora lo shock e l’incredulità sono forti. Questa sensazione la stanno ora vivendo sulla propria pelle, nelle Filippine e in Italia, i parenti dei 21 marittimi prigionieri in Somalia da ormai 46 giorni. La nave è una delle due di nazionalità italiana attualmente trattenuta in ostaggio dai predoni del mare in Somalia. Oltre alla ‘Rosalia D’Amato’ infatti, nel mare dei pirati, è stata anche catturata, l’8 febbraio scorso, la petroliera ‘Savina Caylyn’ di proprietà della stessa compagnia di navigazione napoletana. Con la nave catturati anche 22 marittimi, membri del suo equipaggio.

 

Si tratta di lavoratori del mare di nazionalità indiana, 17, e italiana, 5. La particolarità che in entrambi i casi si tratta di equipaggi composti per oltre il 50 per cento da personale extra comunitario risiede nel fatto che gli armatori tendono ad assumere marittimi di altre nazionalità perché sono soprattutto disposti a lavorare per salari molto più bassi di quelli che ricevono i marittimi comunitari. Questo ha comportato che in totale in mano ai pirati somali sono trattenuti in ostaggio almeno 700 marittimi di diversa nazionalità. Per lo più si tratta di indiani, cingalesi, pachistani, rumeni, ucraini, filippini, coreani e altri ancora. Tra gli altri anche diversi europei, tra i quali ben 11 marittimi italiani oltre a tre ragazzi minorenni danesi figli di una coppia di Cophenaghen. La famiglia è stata catturata lo scorso mese di febbraio, mentre erano in crociera nell’Oceano Indiano con il loro Yacht. I marittimi filippini ostaggi in Somalia dei pirati sono oltre 200. Un dato questo che ha spinto, nell’aprile del 2009, le autorità di Manila a vietare ai propri connazionali ad accettare imbarchi su navi dirette nel mare dei pirati. Purtroppo non tutti hanno rispettato il divieto. Il bisogno di lavoro e di guadagnare ha spinto tanti filippini a rischiare e per 200 di loro è andata male. Le Filippine sono di fatto la fonte principale di lavoratori del mare. Su una popolazione mondiale di marittimi, che conta più di un milione di persone, oltre il 20 per cento provengono da questo Paese asiatico. Attualmente, il numero dei filippini che lavorano all’estero supera gli 8 milioni. Una buona percentuale di questo numero è costituita da lavoratori del mare. E’ indescrivibile l’esperienza che vivono durante la prigionia i marittimi equipaggio dell’imbarcazione cadute nelle mani dei predoni del mare. I pirati sono disposti a tenere nave e uomini in ostaggio anche per mesi se in cambio del loro rilascio non viene pagato un riscatto. Un periodo di tempo durante il quale gli ostaggi subiscono angherie e sono costretti a stenti di ogni genere. Il prezzo del riscatto viene fissato dai pirati che chiedono sempre cifre esorbitanti, anche di decine di mln di dollari, ma poi, finiscono per accontentarsi di meno, dai cinque ai nove mln di dollari. A trattare per il rilascio degli uomini e delle navi catturate sono le stesse compagnie marittime proprietarie della nave. Anche i governi dei Paesi da cui provengono i marittimi catturati, non tutti però, sono coinvolti nella vicenda. Spesso sono proprio quest’ultimi che pagano la somma concordata per il rilascio di nave e uomini. Quella della pirateria marittima è una vera e propria piaga che colpisce la rotta che unisce l’Asia con l’Europa passando per il Golfo di Aden e attraversando il Canale di Suez. E chi ne paga le dirette conseguenze sono i tanti lavoratori del mare che ogni giorno solcano quelle acque a bordo dei mercantili. Ogni viaggio è un’avventura e pur se si scampa una volta quella dopo potrebbe essere la fatale.

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