Pirateria marittima: l’Algeria lancia un appello per liberare ostaggi pirati somali

Il fenomeno della pirateria marittima ormai impazza al largo della Somalia e nell’Oceano Indiano. Sono almeno 40 le navi e oltre 600 i marittimi trattenuti in ostaggio in Somalia. Sono tutti prigionieri dei pirati somali. Sono tenuti come ‘bestie in gabbia’ in attesa che qualcuno paghi un riscatto per il loro rilascio.

L’Algeria ha lanciato un appello formale per la liberazione di tutti questi marittimi. Inoltre, ha chiesto alla comunità internazionale di aumentare gli sforzi per eliminare la pirateria marittima in Somalia. Domenica 29 maggio si è registrato l’intervento del ministro degli Esteri algerino, Mourad Medelci. “L’Africa e la comunità internazionale deve intensificare gli sforzi per rafforzare le capacità della missione dell’Unione africana in Somalia, AMISOM e eliminare i gruppi terroristici che continuano a minacciare la stabilità di questo Paese e tenere in ostaggio il suo futuro. Inoltre devono mobilitarsi per porre fine alla pirateria al largo delle coste della Somalia”, ha  affermato il capo della diplomazia di Algeri. “Cogliamo l’occasione per lanciare un solenne appello affinché tutti gli ostaggi, tra cui gli algerini, che sono detenuti dall’inizio di quest’anno, possano essere liberato, nella speranza che essi possono rapidamente raggiungere le loro famiglie”, ha aggiunto Medelci. L’appello del ministro algerino è giunto appena due giorni dopo che le famiglie degli ostaggi algerini, in mano ai pirati somali da oltre 5 mesi, si sono radunati  per manifestare davanti alla sede dell’IBC. I manifestanti, mogli, madri, padri, figli, fratelli e sorelle, hanno denunciato soprattutto il silenzio dell’autorità algerina a riguardo del destino dei loro cari prigionieri in Somalia.

 

I familiari hanno chiesto al presidente algerino di intervenire per salvare le loro vite. Una scena già vista in altre parti del mondo e che sottolinea quanto sembra essere sempre più palese che i governi dei Paesi a cui appartengono i marittimi, che cadono nelle mani delle gang del mare della Somalia, non facciano abbastanza per riportare a casa i loro connazionali. Quasi come a non voler disturbare i pirati somali.  Al tempo stesso indichi quanto sia alto il malessere e la sofferenza dei familiari degli ostaggi lasciati dai loro governi senza notizie. La vicenda in essere  riguarda  ben 17 marittimi algerini prigionieri in Somalia dallo scorso mese di gennaio. Sono circa sei mesi, Si tratta di una parte dei 27 membri dell’equipaggio del mercantile MV BLIDA, gli altri sono ucraini. La nave portarinfuse battente bandiera algerina è stata catturata dai pirati somali nell’Oceano Indiano, mentre era in navigazione per Dar es Salaam, in Tanzania proveniente dal porto di Salalah nell’Oman. Le autorità algerine hanno riferito che stanno monitorando la situazione e sono regolarmente in contatto con i marittimi e i loro sequestratori attraverso l’International Armatore Bulk Carriers, IBC, che sta negoziando con i pirati somali per il rilascio dei marittimi sequestrati. Un negoziato di certo infruttuoso in quanto fin dall’inizio della vicenda il ministro della Giustizia algerino, Tayeb Belaiz ha ribadito che l’Algeria non pagherà nessun riscatto in quanto favorirebbe  le finanze dei criminali e del terrorismo. Per cui l’appello lanciato dal ministro degli esteri algerino, detto in questo contesto, assume  un significato impreciso, ambiguo e potrebbe significare solo che l’Algeria non intende pagare il riscatto  per i marittimi algerini della MV BLIDA, ma che li rivuole comunque indietro. Se fosse così allora quei ‘poveracci’ rimarranno prigionieri chissà per quanto tempo ancora. Questo in quanto i  moderni pirati hanno come unico scopo di ricavare dalla loro attività criminale denaro, tanto denaro.

 

 

 

Negli ultimi tempi gli ‘affari’ non gli vanno neanche tanto male. Solo nell’ultimo mese i pirati somali hanno incassato almeno 15 mln dollari. Si tratta della somma ricavata dalla riscossione di riscatti pagati per ottenere il rilascio di tre navi  e dei loro rispettivi equipaggi che erano stati sequestrati  nei mesi addietro. Un’attività la loro che non conosce nemmeno tregua e che fa registrare tutti i giorni nuovi tentativi di arrembaggi di mercantili.  Il loro ‘modus operandi’ è sempre lo stesso.  Il loro attacco arriva sempre di mattina presto con piccoli e veloci barchini che sono spesso lanciati da ‘navi madri’ che permettono loro di colpire anche a migliaia di miglia nautiche dalla costa somala.  La velocità è l’essenza di un attacco pirata. Colpire  e fuggire con la preda prima che arrivi una nave da guerra in soccorso del mercantile attaccato solo questo importa. Le navi catturate sono sempre dirottate verso la costa della Somalia e tenute lì in ostaggio con i loro equipaggi. Una volta che la nave è al ‘sicuro’ ai pirati poi, interessa una sola cosa, il riscatto. Aspettano per qualche settimana e poi, per il cargo catturato, chiedono al proprietario o al governo da cui proviene la nave o i marittimi a bordo,  un compenso per lasciarli tornare a casa.  I negoziati  durano anche mesi, ma poi si finisce sempre per pagare per ottenere il rilascio di uomini e navi. Non esistono alternative. Chi ha affermato di non aver mai pagato un riscatto, mente! Statisticamente il rischio di cadere nelle loro mani, mentre si naviga nelle acque al largo della Somalia, è molto basso. Questo in virtù del fatto che, delle circa 21mila navi che transitano nel Golfo di Aden e delle oltre 10mila nell’Oceano Indiano nel corso dell’ anno, solo una numero piccolissimo di queste sono state catturate dai predoni del mare. Si tratta di mercantili che insieme ai loro membri degli equipaggi, di diverse nazionalità, hanno poi, subito o stanno subendo una lunga e faticosa prigionia. Comunque sia, anche se lentamente e affrontando un oneroso impegno economico, circa 5 miliardi l’anno, la comunità internazionale si adopera dal 2008 per combattere la pirateria marittima al largo della Somalia. Si tratta di un tentativo di reagire a questo fenomeno sempre più in crescita. Un tentativo condotto con il dispiegamento nel ‘mare dei pirati’ di diverse navi da guerra. Sono ben 25 i Paesi presenti nel mare del Corno D’Africa in veste anti pirateria marittima nell’ambito di missioni internazionali o per conto del Paese da cui provengono. Un contrasto che però, visto quanto continua ad accadere in quella parte del mondo, non ha per nulla spaventato i pirati somali. I predoni del mare continuano infatti, incuranti la loro attività criminale trasformandola di fatto, in una sorta di quotidiana sfida a quelle potenze navali militari mondiali che pattugliano il ‘mare dei pirati’. Addirittura i pirati somali hanno allargato il loro raggio d’azione spinti sempre più al largo delle coste somale, verso nord e verso sud, spingendosi fin nelle acque del Mar Rosso e Mar Arabico e anche delle Seycelles a nord e del Kenya, Mozambico, Tanzania, Botswana e perfino in Sudafrica a sud. In questo modo hanno continuato a sequestrare le imbarcazioni arrivando persino ad attaccare le stesse navi da guerra. Inoltre, i tribunali di molti Paesi, negli ultimi mesi, si sono dimostrati molto più severi nei confronti dei pirati somali comminando loro pene molto pesanti. Mentre su iniziativa della Russia le Nazioni Unite stanno lavorando ad una risoluzione con cui istituire un tribunale internazionale per i pirati somali come quello dell’Aja. Il documento potrebbe essere pronto già per la fine del mese di giugno.

 

 

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