Trump: guerra all’euro, yuan e yen

WASHINGTON  – La secca risposta dell’Eurotower, per bocca del presidente della Bce Mario Draghi, circa la presunta manipolazione dell’euro, costituisce una replica attesa alle accuse mosse dalla nuova amministrazione americana nei giorni scorsi.

Una polemica alimentata dalle dichiarazioni di Peter Navarro, a capo del Consiglio nazionale del commercio, il quale ha lamentato in un’intervista al Financial Times la “grossolana sottovalutazione” della moneta unica. L’euro – secondo Navarro – fungerebbe da “marco occulto”, offrendo alla Germania un incongruo vantaggio sui suoi partner commerciali, a cominciare dagli Stati membri dell’Eurozona.

Si tratta di un’accusa pesante soprattutto perche’ giunge dall’uomo incaricato delle sorti del Ttip, la Transatlantic Trade and Investment Partnership, che risulta definitivamente tramontata a favore di accordi bilaterali che saranno via via sanciti dagli Usa. L’attacco dell’amministrazione americana ha suscitato gia’ la reazione della Germania, che ovviamente smentisce un ruolo di manipolazione valutaria: “Abbiamo sempre incoraggiato la Bce a svolgere una politica indipendente”, e’ stata la risposta a caldo del cancelliere Angela Merkel, la quale ha ricordato di avere rispettato l’autonomia della banca centrale anche prima dell’avvento dell’euro, nei giorni della Bundesbank e del marco. Dopo la sua elezione, Trump e’ intervenuto direttamente o attraverso i membri dell’amministrazione su tutte le principali valute mondiali, manifestando la volonta’ di rivedere il risiko monetario. A fine gennaio, l’accusa di svalutazione controllata con intenti commerciali fu rivolta al governo nipponico per il corso dello yen, cui segui’ la smentita di Tokyo. Naturalmente analoga accusa ha riguardato lo yuan cinese, di cui Trump ha stigmatizzato la sottostima rispetto al dollaro: “Le nostre societa’ – dichiaro’ al Wall Street Jopurnal – non possono competere con loro perche’ la nostra moneta e’ troppo forte. Ci sta uccidendo”. Il monito del presidente e’ apparso temperato dalle prime dichiarazioni dell’ambasciatore Usa in pectore a Pechino: Terry Branstad ha promesso un “ruolo costruttivo” e la volonta’ di incrementare le relazioni commerciali fra i due Paesi.

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