Messico: la guerra dimenticata. Escalation di omicidi, giornalisti decapitati

CITTA’ DEL MESSICO – Vivere in Messico oggi significa non poter ignorare la forte recrudescenza della violenza che sta interessando questo paese, soprattutto negli ultimi due anni. Ogni giorno è un bollettino di guerra: 25 morti a Vallesillos (180km a nord di Monterrey) da sabato ad oggi, 83 morti a Veracruz nelle ultime quattro settimane, ritrovamenti di fosse comuni, giornalisti decapitati. La sensazione è che la violenza, la lotta per il controllo del territorio da parte dei cartelli della droga, stia diventando sempre più spietata.

Ma diamo uno sguardo più da vicino alle cifre per capire esattamente quale sia l’entità  di questo fenomeno dilagante.

Honduras e El Salvador hanno il piu’ alto tasso di omicidi nel mondo, in base a ciò che rivela uno studio effettuato dall’Ufficio delle Nazioni Unite su Droghe e Crimine pubblicato il 6 ottobre. Secondo questo studio, nel 2010 il tasso di omicidi di questi due paesi è stato rispettivamente di 82,1 e 66 ogni 100mila abitanti  (l’Italia, nello stesso anno, ha registrato un omicidio ogni 100mila abitanti).

Il Messico ha fatto registrare un tasso di 18,1 vittime di morti violente ogni 100mila abitanti, pero’, in termini assoluti, il Messico è, nel 2010, il secondo paese del continente americano come numero di morti: 20.585, preceduto solo dal Brasile dove gli omicidi sono stati 43.909. Basso livello di sviluppo economico, forti diseguaglianze sociali, debole stato di diritto, sono tra i fattori che spingono verso l’alto il tasso di omicidi. Nel caso del Messico, a questi fattori si devono aggiungere: la facile disponibilità di armi, l’urbanizzazione caotica, la presenza di una popolazione giovane, ma soprattutto la presenza del crimine organizzato.

Negli ultimi 5 anni, che corrispondono più o meno alla presidenza di Felipe Calderon –  eletto nel dicembre 2006 e leader del partito conservatore PAN Partido de Accion Nacional – il tasso di omicidi in Messico e’ aumentato del 65%. Chihuahua, Sinaloa e Baja California – dove vive l’11% della popolazione totale – sono le regioni in cui si concentra il 41% degli omicidi. In sostanza, se sei giovane e vivi in una di queste regioni, hai molte probabilità di morire di morte violenta.

Per assicurarsi il controllo dei traffici di droga, le organizzazioni criminali esercitano una violenza indiscriminata, non solo contro i cartelli rivali, ma anche contro le forze di sicurezza, impiegati pubblici, giornalisti: persone innocenti che nulla hanno a che fare con i traffici di sostanze stupefacenti. Calderon ha cercato di contrastare l’ escalation della criminalità inviando l’esercito nelle zone più “calde” del paese, visto l’alto livello di corruzione della sottopagata polizia locale.

Intanto i cartelli della droga sono arrivati anche nella capitale. La settimana scorsa sono stati ritrovati due cadaveri decapitati su un SUV, risultato rubato, abbandonato su una delle strade più trafficate di Città del Messico (el Periferico). La gente, ovviamente, ha paura e di conseguenza aumenta il numero di macchine blindate in circolazione (+15% negli ultimi 5 anni).

Purtroppo, la percezione è che, al di fuori del Messico, questa sia una “guerra dimenticata”. Nel discorso inaugurale alle Nazioni Unite lo scorso settembre, Barak Obama ha parlato approfonditamente di Palestina, Iraq, Afghanistan, Libia, Tunisia, Egitto, Siria, Yemen, Costa d’Avorio e altri conflitti mondiali, ma non ha fatto neanche un accenno alla sanguinosa guerra che si consuma a due passi da casa. Mai e’ stata pronunciata la parola “droga”, “narcotraffico”, “Messico”. Obama si è dimenticato di menzionare una guerra che ha lasciato a terra quarantamila morti solo in Messico negli ultimi cinque anni, più delle vittime causate dalle ribellioni della “primavera araba”.

Ovviamente l’unico presidente a parlare della sanguinosa guerra che affligge il suo paese è stato Felipe Calderon, dicendo che bisogna prendere consapevolezza del fatto che “il crimine organizzato, oggigiorno, uccide più gente rispetto l’insieme di tutti i regimi dittatoriali. Decine di migliaia di persone muoiono soprattutto in Messico e nei paesi vicini”. Calderon ha aggiunto che i cartelli della droga stanno acquistando sempre più potere, grazie agli enormi guadagni derivanti dal narcotraffico e per il facile accesso alle potenti armi che provengono dagli USA. Secondo il Presidente Messicano, la Casa Bianca deve inasprire i controlli per evitare che queste armi finiscano nelle mani dei cartelli della droga, e i paesi consumatori devono fare di più per ridurre la domanda di stupefacenti.  

E’ sbagliato considerare la lotta al narcotraffico esclusivamente una questione nazionale. I cartelli stanno diventando sempre più potenti grazie, soprattutto, agli introiti derivanti dal ricco mercato nord-americano, a cui si aggiunge il facile accesso ad armi, munizioni e granate.  Si stima che il giro di affari collegato al traffico di droga si aggiri attorno ai 65miliardi di dollari. Il 90% della cocaina consumata negli Stati Uniti e’ di provenienza messicana, mentre il 70% delle armi confiscate ai narcotrafficanti tra il 2009/2010 era “made in USA”.

La sensazione è che, malgrado il governo di Obama abbia, nel 2009, pubblicamente ammesso la corresposabilità degli Stati Uniti per la violenza e il proliferare del narcotraffico, nulla sia stato realmente fatto.
L’intervento degli Stati Uniti non può limitarsi al contrasto del il traffico di droga, bensì dovrebbe intensificare i controlli sulle vendite di armi e, come sostengono in molti, iniziare un serio dibattito sulla legalizzazione delle droghe leggere. In questo modo si potrebbero concentrare gli sforzi contro i narcotrafficanti più violenti, al posto di perseguire indiscriminatamente tutti.

Intanto la violenza in terra Azteca e Maya cresce in maniera esponenziale e, oltre a lasciare a terra migliaia di morti, costituisce il maggiore ostacolo allo sviluppo economico del paese. La lotta ai cartelli della droga non solo drena importanti risorse economiche che potrebbero essere destinate ad istruzione e sanità, ma rischia di ridurre gli investimenti stranieri (malgrado il basso costo della manodopera) e minare l’industria del turismo.

E crescendo la crisi economica aumenta anche la violenza. Il timore e’ che il Messico non sia in grado di combattere da solo questa guerra: senza un concreto aiuto Americano, il paese non riuscirà ad uscire da solo da questa spirale di violenza.

 

I morti

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