Tibet libero. Monaci si danno fuoco per protesta

ROMA – Sono 9 i monaci buddisti che dal 5 ottobre scorso si sono auto-immolati contro l’occupazione cinese. Tutti giovani, tutti poco più che maggiorenni e fra loro anche una donna. Tenzin Wangmo, vent’anni, morta davanti un convento nella regione di Aba dopo essersi cosparsa di benzina e datasi fuoco.

Orrore. Sgomento. La posizione della massima autorità religiosa, il Dalai Lama, è chiara: niente violenze, nemmeno contro se stessi. È un insegnamento del Buddha, d’altronde. E a Nuova Delhi organizza una veglia di preghiera per questi giovani monaci martiri. Molti già parlano di divisioni interne al gruppo religioso. La politica della non violenza sembra non piacere più.
La notizia di questi monaci, che si sono bruciati vivi per protesta, ha fatto il giro del mondo e di nuovo l’attenzione delle grandi potenze si è spostata sul Tibet. Il portavoce del ministro degli Esteri cinese, Liu Weimin, ha dichiarato di non avere informazioni precise. E quelle arrivate in questi giorni sono state diffuse dalla Free Tibet, un’organizzazione indipendente che ha sede a Londra.

“Promuovere e incoraggiare attentati contro la propria vita è immorale” ha dichiarato Liu Weimin. La paura è che questa forma di protesta possa allargarsi. E le autorità cinesi corrono ai ripari con arresti e detenzioni preventive nei confronti di quanti avrebbero autorizzato il martirio. Ai primi di marzo, dopo che un monaco si è dato fuoco al monastero di Kirti, il centro delle proteste, 300 monaci sono stati arrestati e due condannati a 13 anni di reclusione “per aver assistito il compagno nell’immolazione”.

Il problema del Tibet imbarazza potenze come l’America, grande partner commerciale della Cina, ma promotore nel mondo di una democrazia esportabile. Il suo ruolo con Pechino è contraddittorio. Da una parte storce il naso e dall’altra chiude un occhio. È dal 1950, anno in cui la Repubblica Popolare Cinese impose l’autorità sul Tibet, che si parla di resistenza. Il Dalai Lama fu costretto all’esilio in India e da quel giorno del Tibet si sa poco o nulla. La Cina rivendica quel territorio e vanta di aver posto fine a una società feudale dove il capo spirituale è anche capo di stato. Ma lo scorso marzo Tenzin Gyatso ha rinunciato al suo potere politico. Il 27 aprile di quest’anno il Tibet ha votato, in elezioni non riconosciute, il proprio primo ministro, Lobsang Sangay, un laico.

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