Birmania. Aung San Suu Kyi è libera

RANGOON – Aung San Suu Kyi è libera. Domani terrà il suo primo discorso ufficiale. Il lungo conteggio alla rovescia delle ore che mancavano alla fine della sua segregazione è dunque terminato.

Erano le 17 locali le 11.30 italiane di stamani. Mezzora dopo la leader dell’opposizione birmana è apparsa al cancello della sua villa per salutare i sui sostenitori.  Una folla in festa e commossa l’ha salutata felice di vederla di nuovo libera. “Ora dobbiamo lavorare tutti insieme di comune accordo”, ha affermato rivolgendosi alla folla. Un chiaro riferimento alle divisioni nell’opposizione che sono culminate  anche nella scissione all’interno del suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia, Lnd. L’icona dell’opposizione democratica birmana ha anche chiesto ai suoi sostenitori di riunirsi domani a mezzogiorno, le 6.30 in Italia, al quartier generale del Lnd dove pronuncerà il suo primo discorso ufficiale. Da sempre San Suu Kyi è stata considerata dal regime birmano alla stregua di una spina nel fianco e quindi fino all’ultimo, ma forse ancora ora, è stato forte il timore che la giunta militare al potere nel Paese asiatico dal 1962 potesse trovare ancora una volta un pretesto per non rilasciarla. Alla fine però, ogni dubbio è stato fugato dal suo rilascio.

 

Il ritardo probabilmente era dovuto solo a questioni procedurali. I generali birmani temono soprattutto le conseguenze del suo ritorno sulla scena politica nazionale. Sanno quanto abbia peso la sua influenza sul popolo. Un timore che li ha spinti a cercare in qualche modo di trattare il suo rilascio. Il Premio Nobel per la Pace 1991 però, non è scesa a compromessi. Del resto lo aveva già annunciato che non avrebbe accettato nessuna delle pre-condizioni poste dalla giunta militare per riottenere la libertà.  I termini degli arresti domiciliari di San Suu Kyi scadevano oggi alle 19 locali, le 13.30 italiane. Non rispettarli valeva a dire per i generali birmani non rispettare la legge, la loro legge, e di questo ne erano ben consapevoli. Ci tengono a mantenere all’impiedi quella parvenza di libertà democratica che vogliono trasmettere all’esterno del Paese. Fin dalle prime ore di stamani una folla di sostenitori si è riunita nei pressi dell’abitazione della dissidente birmana. Quella villa sul lago Inya a Yangoon che negli ultimi sette anni le ha fatto da dimora e da prigione dopo che il regime birmano le aveva imposto gli arresti domiciliari per segregarla e isolarla dal resto del Paese e del mondo. Il suo primo arresto risale al 1989. Da allora ha trascorso gli ultimi venti anni o in prigione o agli arresti domiciliari, salvo brevi intervalli.

 

Quando la gente ha visto le forze di sicurezza birmane rimuovere le transenne all’esterno della residenza di San Suu Kyi, mentre all’interno vi erano alcuni funzionari del governo, tutti hanno capito che il grande momento era giunto. L’ordine di rilascio dell’icona dell’opposizione democratica birmana era arrivato. Il suo rilascio arriva dopo che nel Paese asiatico, una settimana prima, ci sono state le tanto attese elezioni che si sono svolte in un clima di tensione e di intimidazioni. Elezioni da cui è stata tenuta fuori la dissidente birmana dopo una condanna a 18 mesi per aver violato le regole dei domiciliari a cui era sottoposta e che scadevano nel maggio 2009. Elezioni che la comunità internazionale ha definito una farsa. Il suo risultato era infatti, già scritto tanto è vero che ha vinto il partito dell’Unione per lo Sviluppo e la Solidarietà, partito legato ai generali.  Lnd non ha partecipato a queste controverse elezioni volute dalla giunta militare perché è stato sciolto prima. Le ultime elezioni si erano svolte nel Paese nel maggio del 1990. Un voto che decretò la vittoria della Lega Nazionale per la democrazia di Aung Suu Kyi che raccolse il 60 per cento delle preferenze. Il regime birmano però, non riconobbe il voto e lo annullò.

 

Da allora il Paese perse ogni speranza di una transizione democratica e per oltre un ventennio ha subito l’oppressione dei militari. Ogni tentativo di ribellarsi è stato sempre duramente represso nel sangue e con il carcere duro. Come quando avvenne la rivolta arancione guidata dai monaci nel 2007. “Il rilascio della leader democratica Aung San Suu Kyi rappresenta un passaggio essenziale e decisivo per la Birmania, alla luce della grande mobilitazione sociale registrata per le elezioni che si sono tenute la scorsa settimana”, ha dichiarato Piero Fassino, inviato speciale dell’Unione Europea per la Birmania. Mentre Emma Bonino, ha affermato: “La notizia che aspettavamo da tanti – troppi – anni è finalmente arrivata. L’annunciata liberazione di Aung San Suu Kyi mi riempie di gioia anche se occorre essere cauti rispetto ad un regime che ci ha abituati al peggio. Le elezioni-farsa della settimana scorsa e la messa al bando della ‘Lega nazionale per la democrazia’ ne sono solo l’ultimo esempio”. “In attesa di conoscere i termini della liberazione la comunità internazionale, il segretario generale dell’Onu in primis, deve vigilare affinchè avvenga senza condizioni e in modo tale da consentire a San Suu Kyi di riprendere il posto che le spetta nella vita del paese”, ha aggiunto l’esponente radicale.

 

Sono tanti anche i leader mondiali che in queste ore stanno esprimendo la loro approvazione per il rilascio del premio Nobel nell’ex Birmania. “Aun San Suu Kyi è la mia eroina”, ha detto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama che ha chiesto anche la liberazione di tutti gli altri detenuti politici nel Myanmar. Dello stesso avviso anche Amnesty International che accogliendo con favore il rilascio di Aung San Suu Kyi ancora una volta è tornata a chiedere al governo birmano di liberare subito tutti i prigionieri di coscienza. Oltre a San Suu Kyi infatti, nel Paese asiatico sono imprigionati oltre 2.200 prigionieri politici e di coscienza. Persone che sono tenuti in condizioni deplorevoli e la cui unica colpa è quella di aver esercitato il loro diritto di protestare in forma pacifica.

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