Prezzi. In dieci anni con l’euro sono cresciuti del 25%

ROMA – Stando al rapporto diffuso dall’ufficio studi della Cgia di Mestre in dieci anni dall’arrivo dell’euro i prezzi in Italia sono cresciuti di quasi il 25%, con gli aumenti maggiori soprattutto nel Mezzogiorno.

In pratica  tra il 2002 e il luglio di quest’anno l’inflazione media è stata del 24,9%. Al Sud la situazione è addirittura peggiore. Infatti, in Calabria c’è  stato l’incremento regionale più rilevante con un +31,6%, seguita da Campania (+28,9%), Sicilia (+27,6%) e Basilicata (+26,9%).

Le regioni meno interessate dal caro-prezzi sono state invece la Lombardia, con un’inflazione regionale del 23%, la Toscana, con un +22,4%, il Veneto (+22,3%) e, ultimo in graduatoria, il Molise (+21,7%). «L’impennata dei prezzi – secondo la Cgia – non ha riguardato gli alimentari, l’abbigliamento-calzature o la ristorazione, ma soprattutto le bevande alcoliche e i tabacchi, le ristrutturazioni e manutenzioni edilizie, gli affitti delle abitazioni, i combustibili e bollette domestiche, i trasporti».

«È opportuno sottolineare – sottolinea il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi – che il maggior aumento dei prezzi al Sud non deve essere confuso con il caro-vita. Vivere al Nord è molto più gravoso che nel Mezzogiorno. Altra cosa, invece, è analizzare la dinamica inflattiva in questi ultimi dieci anni». La maggior crescita dell’inflazione al Sud «si spiega con il fatto che la base di partenza dei prezzi nel 2002 era molto più bassa rispetto
al resto d’Italia».

«Inoltre – aggiunge Bortolussi – a far schizzare i prezzi in questa parte del Paese hanno concorso anche il drammatico deficit infrastrutturale, la presenza delle organizzazioni criminali che condizionano molti settori economici, la poca concorrenza nel campo dei servizi e soprattutto un sistema distributivo delle merci molto arretrato e poco efficiente».

L’Italia, un paese arretrato

«Uno dei nodi da superare – sottolinea sempre la Cgia – è lo spaventoso deficit logistico-infrastrutturale che grava sulla competitività dell’intero sistema delle nostre imprese e, di conseguenza, sui costi dei servizi e dei prodotti
offerti ai consumatori». Nonostante negli ultimi decenni la spesa italiana per gli investimenti sia stata in linea con la media dei Paesi dell’area euro, «la scarsa dotazione di strade e autostrade, il grave ritardo del nostro settore ferroviario e l’insufficiente dotazione di reti elettriche e di trasporto-stoccaggio del gas naturale comportano (secondo stime di due anni fa del governo Berlusconi) un costo aggiuntivo a carico del sistema imprenditoriale di ben 40 miliardi all’anno».

«Spesso anche con la scusa dell’euro – secondo gli artigiani di Mestre – i prezzi che hanno subito i rincari più consistenti sono stati quelli di bevande alcoliche e tabacchi (+63,7%), manutenzioni-ristrutturazioni edilizie, affitti, combustibili e bollette di luce, acqua e gas e rifiuti (+45,8%), e trasporti (treni, bus, metro +40,9%)». Sostanzialmente in linea, «se non al di sotto del dato medio nazionale, gli incrementi dei servizi alberghieri e della ristorazione (+27,4%), dei prodotti alimentari (+24,1%), del mobilio e degli articoli per la casa (+21,5%), dell’abbigliamento-calzatur e (+19,2%)».

«A differenza di quanto denunciato finora – afferma Bortolussi – con l’avvento dell’euro non sono stati i commercianti a far esplodere i prezzi, bensì i proprietari di abitazioni, le attività legate alla manutenzione della casa, le aziende
pubbliche dei trasporti, i gestori delle utenze domestiche e lo Stato, con gli aumenti apportati agli alcolici e alle sigarette.
Sul totale della spesa media famigliare – conclude il segretario della Cgia – che nel 2011 è stata di quasi 30mila euro, i trasporti, le bollette e le spese legate alla casa hanno inciso per quasi il 50% del totale, mentre la spesa alimentare solo per il 19%».

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