Confcommercio. La crisi dei consumi e le coperte corte

ROMA – Che la coperta sia corta è una nenia che viene tirata fuori ogni volta che si parla dei fondi dello Stato italiano.

Stavolta a rimettere la palla in campo ci ha pensato la Confcommercio che ieri ha dato alle stampe l’edizione 2010 del suo Rapporto sui consumi.
E nella fotografia di Confcommercio emergono alcuni dati davvero preoccupanti, a cominciare dal fatto che nel biennio 2008-2009 il consumo pro capite, ovvero il livello di spesa per ciascun consumatore italiano,  ha subito una riduzione media annua del 2,1%, azzerando ogni crescita degli ultimi dieci anni e tornando ai livelli del 1999.
Una riflessione preoccupante che emerge dal Rapporto riguarda invece l’impatto dell’intervento statale su determinati mercati e determinati settori merceologici. In particolare il documento di Confcommercio critica fortemente la centralità che ha avuto il mercato auto negli ultimi anni, mercato che grazie agli incentivi alla rottamazione ha drenato ingenti risorse ed ha sostanzialmente ‘drogato’ il settore delle quattro ruote.
Il Rapporto infatti afferma :” L’acquisto di auto è crollato nel 2010, dopo la fine degli incentivi.  Che un settore abbia bisogno degli incentivi per mantenersi stabile sotto il profilo degli acquisti indica che le preferenze dei consumatori sono cambiate. L’auto è importante, ma forse meno di un tempo. Il nostro mercato interno assorbe senza incentivi 1,5 milioni di auto intestate a privati, e 600mila circa a imprese. Non più di tanto. Bisognerebbe farsene una ragione.”

Bisogna farsene una ragione e Confcommercio invita a ‘farsi una ragione’ anche del fatto che senza una ripresa dei livelli occupazionali in Italia non si potrà mai avere una vera ripresa economica e dei consumi e che il saldo con l’estero dello stivale, già negativo, è visto al peggioramento. “Senza una maggiore occupazione difficilmente si osserverà una curva crescente nella spesa reale per consumi. E senza consumi difficilmente ci sarà una ripresa solida. Sul tema, nell’ultimo anno, si è osservata tra gli esperti una crescente convergenza di opinioni. E’ chiaro che puntare (sperare) esclusivamente sulle esportazioni della nostra manifattura – le cui medie imprese sono giustamente e quotidianamente celebrate – non produrrà un’apprezzabile tasso di sviluppo della nostra economia. Narrare delle nostre esportazioni tacendo delle nostre importazioni rappresenta una svista non proprio trascurabile. Il contributo estero al prodotto di un Paese è dato dal saldo tra ciò che si esporta e ciò che si importa: tale saldo per l’Italia è costantemente negativo, con una moderata tendenza al peggioramento.”
Ed il rapporto della Confcommercio è velato di una triste ironia quando cita le immaginifiche (talvolta immaginarie) somiglianze intercorrenti tra l’Italia e la locomotiva d’europa, la Germania:
“Prendendo spunto dalle valutazioni previsionali del Fondo Monetario Internazionale che indicano una crescita nel 2010 per la Germania al 3,5% del prodotto per abitante contro lo 0,3% per l’Italia (+0,5% la nostra previsione), si può cogliere l’occasione per provare a dimenticare le presunte somiglianze Italia-Germania: il saldo del conto corrente (non molto dissimile da quello delle merci e dei servizi) è stato pari, mediamente nel periodo 2006-2009, a -45,6 miliardi di euro per l’Italia e pari a +154,9 miliardi di euro per la Germania (come dire che in dieci anni scarsi i tedeschi con il solo saldo estero potrebbero acquistare tutto il Pil italiano di un anno).
Talvolta, dimenticare è un buon punto di partenza.”

Il quadro che sembra emergere anche da questo Rapporto, e non è una novità, è quindi quello di una situazione generale di crisi profonda in cui la scarsità delle risorse disponibili per interventi di stimolo facilitano la creazione di situazioni di tensione anche all’interno dell’area definibile ‘padronale’, che si litiga gli incentivi al consumo tra commercio ed industria trascurando il benessere dei cittadini che vengono visti solo come mere unità di consumo.

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