Legittimo impedimento: per la Consulta bocciata a metà

ROMA – Non un sì, ma nemmeno un no. È questo l’esito della sentenza espressa dalla Corte Costituzionale in merito al legittimo impedimento, la norma che blocca i processi al Presidente del Consiglio ed ai ministri.

Secondo i giudici della Consulta l’ispirazione della norma non è incostituzionale, ma in alcuni aspetti si pone in contraddizione con la Carta. Di fatto i giudici ne hanno bocciato alcune parti ed interpretato delle altre.
Questa decisione, anticipata nei giorni scorsi, si dimostra di buon senso. Il legittimo impedimento, inteso come diritto alla difesa e cioè la possibilità di chiedere il rinvio delle udienze di un processo per l’impossibilità a parteciparvi, già esiste nella nostra Costituzione, ma la norma introdotta estendeva questa facoltà per i membri del Governo a dismisura.

La Consulta ha basato la propria sentenza partendo dagli articoli 3 e 138 della Costituzione che prevedono che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» e che «le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione».

Entrando nello specifico della sentenza, i giudici costituzionali hanno ritenuto che non possa essere accolta la disposizione della norma che affida alla Presidenza del Consiglio la certificazione dell’impedimento. Spetta, infatti, solo al giudice di volta in volta, e non automaticamente, valutare i motivi addotti dall’imputato e decidere eventualmente per il rinvio. Nella norma, invece, si prevedeva che con una comunicazione della Presidenza del Consiglio il giudice fosse tenuto a rinviare il processo anche di sei mesi in sei mesi. Ritorna al giudice, quindi, la centralità nella costatazione dell’impedimento e nella valutazione di motivi che lo pongono in essere per bilanciare l’effettivo diritto alla difesa dei membri dell’Esecutivo e la tutela della sua funzione di governo.

Le reazioni
Non dichiarando incostituzionale la norma, ma modificandola in alcune parti essenziali, la sentenza della Consulta ha scatenato le più disparate dichiarazioni da parte degli esponenti della maggioranza e dell’opposizione. Tutti sanno, però, che questa decisione non avrà conseguenze nelle vicende giudiziarie del Cavaliere, destinate, per almeno due processi su tre, a finire presto in prescrizione indipendentemente dal legittimo impedimento.
Immancabili le reazioni della coppia di legali del presidente del Consiglio Ghedini – Longo. «La legge sul legittimo impedimento nel suo impianto generale è stata riconosciuta valida ed efficace e ciò è motivo evidente di soddisfazione». Eppure la norma è stata riconosciuta illegittima in parte. «Nell’intervenire su modalità attuative, la Corte Costituzionale – spiegano i legali del premier Silvio Berlusconi – sembra avere equivocato la natura e la effettiva portata di una norma posta a maggior tutela del diritto di difesa e soprattutto della possibilità di esercitare serenamente l’attività di governo, non considerando la oggettiva impossibilità, come dimostrato dagli atti, di ottenere quella leale collaborazione istituzionale già indicata dalla Corte stessa, con una autorità giudiziaria che ha addirittura disconosciuto legittimità di impedimento ad un Consiglio dei ministri».

Più duro il ministro ai beni culturali Bondi. «Oggi la Consulta ha stabilito la superiorità dell’ordine giudiziario rispetto a quello democratico, rimettendo nelle mani di un magistrato la decisione ultima in merito all’esercizio della responsabilità politica e istituzionale. Siamo di fronte al rovesciamento dei cardini non solo della nostra Costituzione, ma dei principi fondamentali di ogni ordine democratico». Secondo Leoluca Orlando, portavoce dell’Italia dei valori, «le parole di Bondi sono eversive e gravissime. Un ministro che ha giurato sulla Costituzione e nelle mani del Capo dello Stato non può parlare di rovesciamento dell’ordine democratico infangando in questo modo una decisione della Consulta. Impari a rispettare le decisioni dei giudici che sono soggetti solo alla legge». Per il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, la decisione della Corte Costituzionale che ha bocciato in parte il legittimo impedimento, «è una bocciatura di un atto di arroganza» e «rappresenta l’ennesimo gioco d’azzardo che non è riuscito a Berlusconi». Secondo il leader di Sel, siamo di fronte «al tentativo del potere politico di sottrarsi dal dovere di partecipare, quando viene convocato per contestazioni specifiche, al pubblico dibattimento dentro al processo. «Noi dobbiamo lavorare per rendere veloce il processo. Per garantire la parità assoluta tra difesa e accusa» e «la terzietà del giudice. Ma bisogna andare, quando si è oggetto di una imputazione e di un rinvio al giudizio, a difendersi dentro al processo, e non bisogna difendersi dal processo sabotandolo continuamente».

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