Alitalia. Le Hostess devono assistere i passeggeri, ma non possono accudire i figli

ROMA- Una sentenza clamorosa ha stabilito che una dipendente dell’Alitalia, assistente di volo di lungo raggio, non sia in grado di garantire il pieno e completo accudimento dei figli.

“Vi porteremo ovunque” recitava uno slogan della compagnia di bandiera. Quando entrando dal portellone dell’aereo ad accogliere i passeggeri c’è una hostess con la sua divisa curata, ci si sente sempre un po’ a casa, rassicurati dalla sua presenza.

Non a caso da sempre le compagnie aeree del mondo prediligono le assistenti di volo donne a bordo dei propri aerei come immagine del proprio Brand.

Ma dietro quella divisa curata e quel sorriso rassicurante, c’è una donna in carne ed ossa, una donna che lavora e che molto spesso è madre.

Oggi una sentenza a dir poco singolare, apparsa su Ansa.it accende i riflettori su questa professione.

Il Tribunale ha ritenuto che la giovane donna impegnata su tratte intercontinentali e costretta a lunghi trasferimenti non sia in grado di garantire il pieno e completo accudimento dei figli.

I giudici del tribunale civile di Ariano Irpino (Avellino) chiamati a definire l’affidamento dei bambini di una coppia in via di separazione si sono pronunciati in favore del padre.

La faccenda, certamente delicata, non riguarda esclusivamente il giudizio sull’affidamento tra gli ex coniugi, ma appare come un chiaro attacco alla lavoratrice assistente di volo in quanto tale.

“Una rilevanza determinante assume l’attività lavorativa della signora- si legge nell’ordinanza – Ella, avendo sede lavorativa presso l’aeroporto di Milano Malpensa ed essendo impegnata come assistente di volo su tratte intercontinentali, pur potendo disporre di una settimana di riposo al mese, è costretta a lunghi trasferimenti dalla residenza dapprima a Napoli e poi a Milano con necessità di pernottare almeno tre notti al mese a Milano, oltre ovviamente ai pernottamenti che deve fare all’estero”.

“Non vi è dubbio, pertanto – scrive il Tribunale irpino – che la sua presenza nella località di residenza dei figli risentirà dell’inevitabile fatica che gli spostamenti lavorativi comporteranno (…).

La vicenda sta già facendo eco tra le lavoratrici della compagnia e non solo.

Sono molti i temi del dibattito, sarebbe grave pensare che una hostess a causa della sua professione possa essere considerata meno in grado di accudire i propri figli di altre lavoratrici, oltre al fatto che il problema fa emergere il tema delle tutele di legge sui minori che dal 2008 proprio in Alitalia sono venute meno.

In seguito al fallimento di Alitalia S.p.A., nel dicembre 2008, tutto il personale fu posto in CIGS e gli assets strategici passarono in mano a CAI – Compagnia Aerea Italiana. Quest’ultima azzerando  i contratti preesistenti  procedette a riassumere il personale di cui necessitava dal bacino della Cassa Integrazione.
Tale operazione doveva avvenire nel rispetto all’accordo stipulato a Palazzo Chigi nell’ottobre del 2008, noto come “Lodo Letta”, che  prevedeva nei criteri di assunzione del personale di volo, vari fattori, tra cui,  i carichi familiari, con particolare riferimento ai genitori di minore con handicap ai sensi della L. 104/92.

A fronte di tale accordo, apparve tuttavia, evidente che la strada che intendeva percorrere la nuova compagnia fosse quella dell’aumento della produttività e dell’abbassamento del costo del lavoro. “Il miglior materiale umano a minor costo”- dichiarava l’Ad Sabelli nei giorni della vertenza Alitalia, che ha segnato uno vero e proprio sparti acque, nel  settore del trasporto aero, e non solo.
Fino allo start up di CAI alle lavoratrici di Alitalia, come alle colleghe di altre compagnie aeree, era consentito in ottemperanza a una legge (151/2001) nata a tutela dei minori, l’esonero dal lavoro notturno.
Questo garantiva alle lavoratrici con figli minori di tre anni, genitori unico-affidatari con minori fino a 12 anni , di tornare a casa la sera, per stare vicino ai propri bambini. Un diritto del minore dunque, tuttavia CAI, probabilmente per evitare rigidità gestionali, sottopose ai lavoratori una clausola ambigua, all’atto della firma della lettera di assunzione.  La clausola, comportava l’espressa rinuncia ai diritti di legge, poiché la lavoratrice  accettava di lavorare più giornate consecutivamente, anche di notte.  Queste assunzioni avvennero nelle varie basi della compagnia Roma, Milano, Venezia, indipendentemente dalla residenza della lavoratrice.

Vale la pena ricordare che non firmare questa clausola comportava la non assunzione, in alcuni casi senza neanche il sostegno della cassa integrazione.

A nulla sono valse le denunce delle lavoratrici, che per mesi si sono rivolte a ministri e istituzioni.


Insomma prima le lavoratrici si sono trovate davanti ad un vero e proprio ricatto, ora addirittura, sono discriminate come genitori proprio in virtù di quella scelta cosi difficile.

Viene da chiedersi se è giusto che una donna sia costretta a scegliere tra il lavoro e  la famiglia e soprattutto senza lavoro come si fa ad accudire i propri figli?

O forse la società pensa che le Hostess debbano solo assistere i passeggeri a bordo degli aerei ma non possano avere dei figli?

In un momento come quello che sta vivendo il nostro paese una sentenza come questa non può passare inosservata.

Meno male che l’ Italia è il paese basato sul diritto al lavoro e ha come fondamento la famiglia.

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