L’intercettazione Fassino-Consorte in cambio di appalti

Dopo la pubblicazione dei verbali degli interrogatori di Raffaelli, Favata e Petessi, è sempre più evidente il motivo per cui i tre avrebbe consegnato le intercettazioni a Paolo Berlusconi. Ma poi quelle frasi hanno avuto un utilizzatore finale

MILANO – L’Italia è un Paese allo sbando. Nella speciale classifica “Transparency International corruption perceptions index” che misura il grado di corruzione degli Stati, infatti è scesa al sessantasettesimo posto mondiale, addirittura dietro al Ruanda. Se è questa la situazione del Belpaese non stupisce che la notizia dell’indagine aperta nei confronti di Paolo Berlusconi non faccia notizia e che non se ne affrontino i risvolti politici.

La vicenda
Siamo nel 2005, in piena indagine sui cosiddetti “furbetti del quartierino”. Una società, la Rcs, Research control system, di proprietà di Roberto Raffaelli e Fabrizio Favata, viene incaricata di eseguire alcune intercettazioni telefoniche. Con un po’ di fortuna, prima di consegnare i nastri ai magistrati, Raffaelli ascolta la registrazione tra Fassino e Consorte e come ricorda Eugenio Petessi, un altro imprenditore invischiato nella vicenda, capisce «che se la avessimo data a Berlusconi, gli avremmo fatto vincere le elezioni del 2006». Non si fa niente per niente, e la generosità del Presidente del Consiglio è nota, quindi bisogna darsi da fare. Così Petessi organizza un incontro con Raffaelli e Favata, per ascoltare con attenzione la telefonata e per farla sentire a Paolo Berlusconi. Tutto questo solo per amicizia? In un Paese più corrotto del Ruanda? Ci deve essere il giusto tornaconto, bisogna avere qualcosa in cambio. Così viene fissato un appuntamento ad Arcore in cui, dopo l’ascolto della conversazione il Presidente del Consiglio si lascia andare ad un «grazie, la mia famiglia vi sarà grata in eterno». Bisogna ricordare che rubare le intercettazioni è un reato… Attraverso un giro di false fatturazioni, la cui finalità è ancora al vaglio degli inquirenti, i tre provano ad ungere un po’ le ruote per avere altri appalti. Nel frattempo, a ridosso del Capodanno 2006 le intercettazioni finiscono sulla prima pagina de Il Giornale e scoppia un vero e proprio scandalo.

I risvolti politici
Proprio il paladino della libertà, colui che vuole mettere il bavaglio all’informazione, colui che ha dichiarato di recente di vivere «con grande difficoltà che non si possa più utilizzare il telefono: è terribile essere in un Paese in cui non puoi avere la certezza di non essere intercettato ed è qualcosa a cui dovremo rimediare». Proprio lui ha usato delle parole rubate per lenire e quasi ribaltare la sconfitta elettorale del 2006.
Fassino, comunque quelle parole le ha dette, anche se secondo i giudici non sono rilevanti ai fini dell’inchiesta sulle scalate bancarie. Ieri l’ex segretario Ds ha cercato di ripulire la sua immagine caduta in disgrazia dopo quelle vicenda. «Allo stato dei fatti è evidente che c’è stata una chiara operazione per delegittimare me e il partito che rappresentavo. A questo fine si è costruita una vera e propria trappola. Se l’indagine arrivasse alle conclusioni finora conosciute, e cioè che c’è stata un’illegale registrazione di una mia telefonata che è stata usata per delegittimare la mia persona e la forza politica a cui appartengo, e che l’operazione ha visto coinvolto il fratello del Presidente del Consiglio ed il quotidiano di proprietà di Berlusconi, è facile giungere a una conclusione logica: l’opera di delegittimazione era funzionale alla maggioranza di governo e a chi la guida».
In un Paese più corrotto del Ruanda neanche chi ha subito un torto ha più la forza di dire le cose come stanno, accusando colui che lo ha massacrato mediaticamente basandosi su una intercettazione telefonica acquisita indebitamente.

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