Il problema non è la sinistra, ma il funzionamento del PD. Intervista a Pippo Civati

 

ROMA – Da sei mesi Renzi è alla guida del Paese, ma la disoccupazione continua a crescere-oggi tocca il 12%-, più di 6 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta e l’economia rischia di cadere nella spirale di declino della deflazione. Mille giorni è il tempo che il Governo si è dato per poter “Sbloccare” l’Italia, a suon di decreti. Passo dopo passo. Chiediamo a Giuseppe Civati, deputato del Pd, cosa pensa della direzione intrapresa dall’Esecutivo.

 

D. Draghi e Junker minacciano di togliere la sovranità sulle riforme economiche ai Governi poco virtuosi, mentre il Financial Times parla di fine della “luna di miele” tra il Premier ed il Paese rispetto alla notizia del nuovo flop economico dell’Italia. Non le sembra che rispetto alle priorità che Renzi aveva posto: lavoro, fisco, riorganizzazione della P.A. si stia dando, con la riforma del Senato e della Magistratura, precedenza a questioni meno impellenti?

 R. In realtà, io sono stato accusato spesso di essere troppo scettico nel richiamare ad un po’ di cautela l’Esecutivo rispetto alle scelte fatte e soprattutto ai tempi che si è prefissato, perché ci vuole un certo tempo strutturale per le riforme. Quel che ho notato,infatti, è che Renzi, per attuare il suo piano Salva Italia, dallo sprint delle scadenze settimanali è passato ad una maratona fin troppo lunga, a mio parere, perchè presto spero si torni a votare. Rispetto all’emergenza lavoro, certo è che il decreto Poletti non è una risposta ed il percorso da lui tracciato rischia di protrarsi in tempi lunghi, col rischio di perdere occasioni quali la creazione di un contratto unico.

Ricordo, a tal proposito, che un anno fa si era più che d’accordo alle primarie sulla tipologia di interventi da fare nel campo del Lavoro, mentre oggi quel che si sta tentando di fare è intervenire sui salari, chiedendo alle nuove generazioni una flessibilità che ormai è impossibile da sostenere. Quel che a mio parere ci vuole è un impianto più solido nella riduzione dei vincoli contrattuali: bisogna dare più certezza al lavoratore e nello stesso tempo creare un periodo di prova e formazione da svolgere entro un lasso di tempo prestabilito. È questa la filosofia da adottare nel campo del lavoro. Tutto il resto è solo slogan.

D. I principali provvedimenti che il Governo ha adottato per favorire la ripresa economica non sembrano aver raggiunto i risultati sperati: 

nel secondo semestre 2014 l’Istat rileva un decremento del Pil dello 0,2% e prevede una stagnazione per il prossimo trimestre. 

La disoccupazione, dopo un miglioramento a giugno, ha continuato a salire fino al 12,6%. 

6.020.000 di italiani vivono in condizioni di povertà assoluta.  

L’Italia è in fase di deflazione, col rischio di cadere nella spirale di declino: la diminuzione dei prezzi comporta meno liquidità per le imprese e meno investimenti, quindi più disoccupazione e minore capacità di acquisto. 

 

Quali sono le concrete misure che prenderà il Governo nell’arco di questi mille giorni, per far fronte al collasso dell’economia italiana?

 

R. Intanto, io mi auguravo che nello “Sblocca Italia” si prendessero delle soluzioni più coraggiose, perché lo schema è molto tradizionale. All’inizio Renzi si vedeva scettico rispetto alle grandi opere, puntando sull’innovazione tecnologica ed ambientale, come anche io auspicavo, ma questo non è stato ancora fatto. Mi sembra che per quanto riguarda l’orientamento produttivo dello Sblocca Italia ci si trovi sempre allo stesso punto: si è fissi su di una filosofia della destra italiana, e  non mi riferisco solo a Berlusconi ma anche a Lupi, le cui scelte nel campo delle infrastrutture non condivido. Non voglio sembrare irreligioso sul decreto Irpef perché gli 80 euro sono religiosi ma, a mio parere, essendoci 10 miliardi da investire erano due le strade da poter intraprendere:  una basata su un orientamento delle politiche industriali più forte da combinarsi con una riduzione selettiva delle tasse, l’altra, che ritengo in prospettiva importante per il futuro del nostro Paese, è l’introduzione di un reddito minimo ad una platea minore rispetto a quella degli 80 euro e quindi forse meno importante dal punto di vista politico elettorale, ma effettivamente più bisognosa di un supporto economico. Tutto questo facendo attenzione alle coperture economiche, a cui poco si sta badando. 

Non voglio sembrare pessimista ma lungimirante: dal punto di vista economico bisogna essere più cauti e ragionevoli, meno sfrontati, come è successo sulla legge elettorale. Perché, come era evidente, questa norma presenta alcune falle ed ora tocca ripararle.

D. Entriamo più nello specifico. Nella riforma del Senato si punta a creare una camera di non-eletti con competenze limitate, per superare il famoso sistema della “navetta” che effettivamente ritarda il processo legislativo. 

Lei pensa realmente che questa riforma possa giovare al sistema legislativo italiano? E’ giusta la semplificazione, ma non Le sembra che il costo sia troppo elevato?

 

R. In questo momento, lo dico come una provocazione, nessuna delle due Camere è eletta dai cittadini. In verità il primo elemento di debolezza del quadro di riforme che abbiamo approvato è appunto questo: qualora l’Italicum dovesse entrare in vigore così com’è i politici eleggerebbero se stessi praticamente. La prospettiva è duplice: se il Senato viene abolito, si perde la funzione ancillare del Parlamento, ovvero controllare l’operato del Governo, rendendo in tal modo legittima una pratica già esistente. Se il Senato rimane, è necessario affidargli compiti importanti, come la valutazione delle riforme costituzionali, leggi elettorali, con la possibilità di riportare sul processo legislativo attenzione alla Camera. A tal punto io credo che, stabilite le diverse competenze, non ci sia ragione alcuna perché il Senato non rimanga elettivo. 

Non mi si tacci di gufismo per quanto ho detto: ho sempre sostenuto questa idea da prima che Renzi divenisse Premier, quindi, a meno che non fossi molto lungimirante, non vedo come avrei potuto immaginare che la questione riforma costituzionale avrebbe assunto questa piega.

D. Riforma giustizia: secondo Lei puo’esistere un punto di equilibrio tra la responsabilita’ civile dei giudici, punto chiave della riforma, e l’autonomia ed indipendenza di cui l’organo giudiziario necessita per operare efficacemente?

 

R. Su questo tema ho sempre usato uno slogan: la riforma deve essere fatta “con” i magistrati, non “contro”. Lo stesso Renzi prende ad esempio il Tribunale di Torino come realtà funzionante da cui ricevere indicazioni per poter riformare il sistema. Sulla responsabilità civile vorrei che si riflettesse bene, per non uniformarsi al principio generale di chi sbaglia paga che, come principio generale, è giustissimo, ma va articolato a seconda delle professioni perché, altrimenti, le indagini non vengono compiute. Bisogna trovare un equilibrio sofisticato, è adottare la massima cautela, nonostante ci sia chi, come Berlusconi, sarebbe felicissimo che questa riforma venisse varata il più presto possibile. 

D. Ancora sulla giustizia. L’Ue ci chiede una correzione del sistema giudiziario che punti ad abbreviare i tempi processuali, soprattutto a fronte delle numerose condanne della CGE che l’Italia ha collezionato in questo ambito. 

Non ritiene che il primo passo da fare debba essere una riorganizzazione degli uffici e ridistribuzione degli incarichi e delle risorse che, unita ad una migliore ripartizione della mole di procedimenti, possa riuscire a far rispettare in concreto il principio della ragionevole durata del processo?

 

R. Mi auguro che non ci sia solo la responsabilità civile in questa riforma. E’ chiaro che la questione della prescrizione è la vera partita da giocare, soprattutto in ambito penale: i cittadini chiedono giustizia durante i processi, dopodichè, per lo snellimento della mole di procedimenti, ci sono esempi virtuosi da adottare come modelli. Ma, soprattutto, bisogna avere le risorse economiche per fare queste riforme epocali. Ecco perché sono scettico sul piano di Renzi: trovare prima le coperture e poi parlare di una riforma al giorno. La cosa che mi preoccupa sono i tempi che ci vorranno per arrivare ad un punto qualificante.

D. Alcuni sostengono che ci sia una relazione tra il favore di cui godono l’Italicum e le recenti riforme di cui abbiamo parlato e l’assoluzione di Berlusconi nel processo Ruby. Altri, nonostante le smentite del Min. Orlando, credono che il patto del Nazareno abbia incluso anche la riforma della Magistratura, tanto cara dalle parti di Arcore. 

Non le sembra che quando si parla di riforme spunti sempre l’ombra dell’ex cavaliere? 

 

R. Io saro’ più cattivo, ma penso che Berlusconi sia rientrato da protagonista molto di più di quanto sembrasse all’inizio, con l’incontro del Nazareno. Dire che Berlusconi sia un fantasma è un errore ontologico: Berlusconi è vivo, c’è. Per quanto riguarda le rassicurazioni del Min. Orlando, non dubito che siano vere. Dopodichè, nei fatti, se Renzi dovesse varare una riforma della Giustizia che a Berlusconi non piace, è chiaro che la sua ritorsione sarebbe di bloccare tutto il processo di riforme. Questo è largamente prevedibile: ci sono equilibri e questioni che sono così ovvie che mi soprende passino inosservati agli occhi di chi ha sottomano documenti e dossier. Quel che penso è che, quando si fa un governo delle larghe intese, bisogna capire anche con chi t’intendi. Perché se poi, a lungo andare, non ci si intende più, si introducono tensioni tali, come quelle che ci sono oggi in Parlamento, che rendono un azzardo andare avanti così fino al 2018 . Quindi, va bene la logica del passo dopo passo, ma bisogna capire con chi ti accompagni, come dice il proverbio.

D. Nel corso di questi mesi, spesso Lei si è trovato a non condividere le posizioni di Renzi. Ciò nonostante ha sempre anteposto l’unità del partito e del Governo alle proprie posizioni. Ora lo smembramento di Sel apre a possibilitá di intesa tra lei e Vendola per creare un fronte comune che corregga la rotta del Governo. Realtá o fantapolitica?

 

R. Non è del tutto vero che antepongo sempre l’unità del partito. Sulla riforma costituzionale non l’ho fatto e non lo farò, perché ritengo ci siano delle questioni, come anche la legge elettorale, sulle quali è giusto avere libertà di espressione. Posto questo, l’orizzonte è quello di portare un Centrosinistra al Governo, non di creare una Sinistra fuori dal PD, contro tutti e all’opposizione. Il problema è capire se si può agire su questa linea, se a Renzi interessa ancora una logica dell’alternanza tra Destra e Sinistra e non quella di un Centro con poca Sinistra che governi con una formula da Prima Repubblica. Per ora non ci sono segni di altro tipo. Quel che a me piacerebbe, lo dico in anteprima, è che ci fosse in Parlamento una sorta di collegamento fra chi è d’accordo su alcuni temi, una sorta di gruppo sovrapartitico in cui è possibile creare un‘intesa pubblica e non al chiuso di una stanza, tra contraenti smaliziati. Ovviamente è naturale che poi preferisca Vendola a Verdini e vorrei portarlo al Governo del Paese tramite elezioni, ritentando quello che non si è riusciti a fare l’anno scorso.  Detto ciò, in ogni caso, all’insegna dell’unità del PD e di chi mi ha eletto, rimango nel partito, anche se criticamente.

D. Nel PD i dissidenti parlano di una deriva centrista. Secondo lei, ad oggi, quanto resta della vera Sinistra all’interno del partito?

 

R. Se posso fare una battuta, il problema non riguarda tanto la Sinistra, quanto il funzionamento del PD: più è grande e più dovrebbe essere plurale e considerare che c’è anche chi, come me,  ha ricevuto il mandato elettorale non da Renzi, ma dalla candidatura di Bersani. Bisogna considerare che il patto che abbiamo contratto con gli elettori passa attraverso un passaggio precedente a Renzi. La questione è complessa, perciò è doveroso valutare le sensibilità diverse che ci sono nel partito. Eviterei di moltiplicare le tensioni con battute che, fintantochè si è all’opposizione o outsider come Renzi nel Dicembre scorso, possono essere accettabili ma che vanno misurate quando si parla in veste di Premier dei propri dirigenti e delle proprie componenti interne. Non voglio far polemica, vivo di giorno, non di notte: quindi se non sono d’accordo sulle riforme costituzionali non sono un gufo, semplicemente ho un parere diverso. Mi auguro, quindi, che nel PD si conservi di Sinistra l’assunto fondamentale, ovvero stare dalla parte dei più deboli. E questo significa anche consentire un minimo di spazio a chi nel partito è minoranza, altrimenti si rinuncia al seggio e si va a casa.

 

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