Angela Merkel è tutta un no

ROMA – Giugno si avvia alla conclusione nel segno della più grande incertezza. Se infatti la sfida calcistica con la Germania si annuncia appassionante, quella politica con la Merkel sembra purtroppo perduta.

Angela Merkel, infatti, con spirito bottegaio, punta a parlare solo alla pancia dell’elettorato tedesco a cui è stato spiegato, negli anni passati, che tutti i problemi dell’Euro e dell’Europa nascono dal Sud, dalla Grecia al Portogallo passando per Spagna e Italia. La cancelliera tedesca, a differenza da quanto fu Helmuth Kohl, non si dimostra una statista: dicendo no agli Eurobonds e a una nuova politica europea di crescita, affossa la costruzione europea e, alla fine, il ruolo della stessa Germania. Ripercorre un classico della storia  di questo Paese: il sogno di un’Europa tedesca, ieri manu militari, oggi per mano della guerra finanziaria. Ma la Germania, che come ci racconta la sua nazionale è fatta di figli di immigrati, non può reggere, nella pace e nella convivenza civile, una situazione di questo genere.

Ecco perché il Governo Monti è entrato in fortissima fibrillazione. Nulla, neppure le ipotesi più moderate formulate nei giorni scorsi, è stato ottenuto da questa Germania: e se per François Hollande si porrà il problema politico di come guidare un’altra politica, per Mario Monti sta giungendo un passaggio di verità. La richiesta di fiducia sul ddl sul mercato del lavoro, condito dalla reiterata sfida di Elsa Fornero contro la CGIL, interviene proprio nei giorni in cui, dal fronte Pdl, arrivano precisi segnali  volti a staccare la spina. Il Pdl si sta logorando oltre ogni limite, ed è difficile immaginare un sostegno che duri ancora un anno intero.
Per il Partito Democratico e per la sinistra la strada è strettissima. Proprio quando Matteo Renzi lancia la sua sfida di potere, disinteressato da questi problemi troppo banali, si annunciano decisioni complicate. Non far cadere il Governo sul lavoro e rinsaldare il rapporto coi sindacati e con la CGIL. Non irritare i Mercati che dominano quest’epoca, e avviare qualcosa che assomigli a un po’ di crescita. Aggregare i democratici e i progressisti -tutta la sinistra di governo- e immaginare un’alleanza tra questi e i moderati per salvare l’Italia.
Pierluigi Bersani, prima di poter pensare a Renzi, deve pensare bene alle scelte migliori che possano permettere all’Italia di uscire da un’anomalia troppo lunga e di tornare ad essere una grande nazione europea. Non solo calcisticamente parlando.

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