La crisi dell’Ilva, frutto dell’assenza di politiche industriali

ROMA – Monti continua a ostentare ottimismo. Annuncia, ormai quasi ogni giorno,che la ripresa è in vista, che usciamo dal tunnel. Nei suoi ragionamenti va oltre i numeri quasi i dati sulla situazione economica e sociale del Paese fossero esercitazioni statistiche  e  non incidessero sulla vita di milioni di persone.

Oltre ai numeri che riguardano il lavoro, la disoccupazione crescente così come la cassa integrazione, i consumi, l’inflazione, il PIL che è  in continuo calo, ci sono i nomi delle grandi e delle piccole aziende in crisi. L’incontro con le associazioni delle imprese, cui farà seguito quello con i sindacati previsto per l’ 11 settembre ,ha mostrato ancora una volta che nella famosa agenda Monti non ci sono interventi per la crescita, non si delinea una chiara politica industriale. La situazione così facendo è destinata ad aggravarsi.

Non c’è conflitto fra ambiente e lavoro

La crisi dell’Ilva di Taranto testimonia la drammatica condizione di gran parte dell’industria italiana. Così è per il Sulcis, per Pomigliano e per migliaia di imprese. Ne pagano le conseguenze le famiglie e i lavoratori. Ciò è il frutto marcio della decennale assenza di politiche industriali e della competitività fondata sul contenimento dei costi  dell’innovazione, del lavoro e della tutela ambientale e sulla finanziarizzazione. Ritardo competitivo, precarizzazione del lavoro e degrado ambientale caratterizzano la crisi. É ridicolo parlare di conflitto tra ambiente e lavoro. Viceversa, esiste un forte conflitto tra lavoro, innovazione e ambiente, da una parte, e vecchie logiche d’impresa e di competizione, dall’altra parte. La responsabilità maggiore di questa situazione risiede in una cultura e in politiche che hanno ritenuto giusto lasciare il comando e gli interessi collettivi nelle mani del mercato, cioè, dei gruppi economici e finanziari più potenti. La politica e i politici di destra sono stati lo strumento operativo. Cedimenti si sono avuti anche a sinistra.
La crisi di Taranto ha qui le sue profonde  radici. Per uscirne vanno rovesciate le logiche liberiste per sostituirle con la responsabilità d’impresa e con l’azione progettuale dello  Stato e della politica.
La scelta innovativa che va fatta con determinazione è quella di predisporre un diverso intervento pubblico per qualità, per strumenti (programmazione, indirizzi, regole, controlli, soggetti finanziari e industrial), per snellimento burocratico.

Qualificare e innovare la domanda e l’offerta

Superare la recessione e ricostruire l’Italia significa anche qualificare e innovare la  domanda e l’offerta, e ciò non sarà fatto né dal libero mercato, né dai tagli lineari, né da nuove promesse. Occorrono chiari indirizzi programmatici e volontà politica che oggi non ci sono ancora. Su queste questioni il dibattito è decollato grazie all’iniziativa di Susanna Camusso. Taranto sarà un banco di prova perché occorre ambientalizzare il sito industriale, bonificare il territorio, innovare le produzioni e ripensare il sistema urbano ed economico della città. È evidente che non si tratta di mediazione tra ambiente e lavoro, perché stanno dalla stessa parte, ma di scegliere  tra innovazione sostenibile per la competitività globale e la vecchia compressione dei costi su lavoro e ambiente. I rischi sono tanti e gravi. La scelta sta nelle mani, certamente, dell’Ilva e soprattutto in quelle del governo nazionale e della politica. Pertanto, c’è una domanda preliminare a cui la politica deve rispondere con la massima chiarezza: l’Italia vuole continuare ad essere una  potenza industriale, certamente di tipo nuovo, oppure no? e se si, la siderurgia che posto ha e quale siderurgia l’Italia vuole fare? Questa è la vera questione.

 Siderurgia sostenibile con cicli produttivi innovati

Una siderurgia sostenibile, basata su cicli produttivi innovati, in grado di migliorare la qualità delle produzioni, dentro i parametri ecologici europei e di essere centro del riciclaggio dei metalli, sarebbe utile e possibile. Infatti, come si può pensare, e questo vale anche per i paesi del BRIC, di fare industria in termini duraturi senza risparmiare energia e materie, senza tagliare drasticamente l’inquinamento delle acque, del suolo e dell’aria, senza assumersi la responsabilità di ridurre l’effetto serra? Semplicemente non si può.
Il lavoro dei ” custodi ” indicherà le migliori tecnologie da adottare per l’ambientalizzazione del sito e per l’innovazione industriale. Le misure che si proporranno non sono costi aggiuntivi ma investimenti per l’innovazione: quelli non fatti prima.

Un piano di rigenerazione del territorio

Nel contempo regione ed enti locali dovranno approntare un piano di rigenerazione del territorio e dell’economia locale con risanamenti, delocalizzazioni e costruzione di moderni quartieri.
Il governo nazionale ha dimostrato una attenzione positiva che andrà, però, mantenuta e potenziata per garantire il principio “chi inquina paga”, per predisporre un accordo di programma con gli strumenti finanziari necessari, per garantire la trasparenza e il  coinvolgimento pieno della regione, del comune, dell’azienda, dei sindacati, delle associazioni di categoria ed ecologiste, per eliminare possibili strozzature burocratiche, per rafforzare gli strumenti dell’Arpa Puglia e per estendere l’informazione. Il lavoro andrà assicurato. Per gli investimenti necessari andrebbe attivata una task force. Siamo all’inizio di una lunga fase di ristrutturazione, al governo e alla politica i cittadini di Taranto e l’Italia chiedono responsabilità e fatti, tempestività e trasparenza.

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