Cnel: questioni gigantesche per dare una prospettiva al Paese

ROMA – Come si verifica annualmente, la presentazione del rapporto del CNEL sul mercato del lavoro 2011-2012 è stata occasione per una riflessione molto qualificata sulle dinamiche del rapporto domanda-offerta nel contesto di crisi economica che sta travagliando l’economia e la società italiane.

Riflessione qualificata e inevitabilmente preoccupata; i motivi di preoccupazione e anche di pessimismo sono evidenti  ad ognuno, ne danno conto le sistematiche e puntuali rilevazioni di ISTAT; la ricca messe di studi e pubblicazioni prodotti da svariati centri di studi e ricerche; oltre alla esperienza di vita reale di molti nostri concittadini: giovani disoccupati o precari, donne inoccupate, lavoratori in cassa integrazione o comunque coinvolti in situazioni di crisi spesso senza prospettive. Da questo punto di vista il valore aggiunto del rapporto del CNEL consiste nella più rigorosa sistematicità con cui organizza e legge i dati, i trend, le variabili. Lo affermo senza tema di smentita e con qualche cognizione di causa essendo stato membro della Commissione che ha affiancato il prof. Dell’Aringa (estensore del rapporto) nella impostazione e stesura del lavoro.   
Tuttavia non intendo, in questa sede, riprodurre, neppure in estrema sintesi, i dati che quantificano in linea generale i principali squilibri del nostro mercato del lavoro.; basti a ciò, per i più interessati, la lettura del rapporto, integralmente disponibile on-line sul sito del CNEL, e per tutti i molti articoli di cronaca della stampa quotidiana e specializzata e quello pubblicato  da Dazebao.
Mi preme piuttosto riportare qui, e commentare brevemente, un problema  che il rapporto di quest’anno propone all’attenzione di tutti coloro che intendono riflettere in termini più approfonditi e strategici. Un problema, peraltro, che prevedo non catturerà l’attenzione della maggior parte dei commentatori (nessuno me ne voglia!).

Si tratta di questo: basandosi su dati di trend e stime di ISTAT (quindi i più attendibili e qualificati di cui si possa disporre) inerenti la prospettiva degli andamenti demografici, lo sviluppo dei fenomeni immigratori, le quote attese di partecipazione al mercato del lavoro., nonché gli effetti di prolungamento della vita lavorativa della “riforma Fornero” delle pensioni, si riscontra che nel corso del decennio corrente (2011/2020), la forza lavoro (occupati + disoccupati in cerca di lavoro, compresi nella fascia di età 15/66 anni) aumenterà di 2 milioni 418 mila unità. Per assorbire quella forza lavoro aggiuntiva servirebbe una crescita del PIL dello 0,9/1% per ciascun anno del decennio considerato. E’ bene precisare: una tale crescita, se si realizzasse, consentirebbe di assorbire la quantità di forza lavoro aggiuntiva, e quindi di mantenere inalterato ai livelli del 2011 il tasso di disoccupazione, non certo di assorbire, neppure in quota minima, la disoccupazione di inizio periodo! Così come è necessario considerare che la crescita del PIL ipotizzata in questo scenario già si scontra con il fatto che i primi due anni del decennio sono stati di recessione, anziché di crescita, recessione che durerà fino a….? Qualcuno considera possibile questo traguardo? Viceversa si pensi a quali dinamiche sociali potrebbero animarsi, in questo scenario: quale rapporto giovani/lavoratori anziani (in barba alla ideologia inter-generazionale con cui si è condita la riforma della pensioni); quale relazione fra immigrati e nativi; fra uomini e donne, specie nel sud.

Come ben si comprende focalizzare questa problematica significa porre questioni gigantesche per la prospettiva del paese, non certo tecnicalità da mercatolavoristi. Questioni strategiche di politica industriale, di formazione di un sistema di competenze per lo sviluppo e l’innovazione, di qualificazione e specializzazione del terziario, di reperimento di risorse per sostenere gli investimenti . Perché diversamente non ce la faremo ad uscire dal pantano. Per dirla in un concetto solo, rivolgendomi anche a chi, a sinistra, cade preda dell’orticaria se solo sente la parola: è evidentemente necessario elevare la produttività del nostro sistema economico, cioè dotarlo della capacità di produrre valore aggiunto in dosi molto più massicce.
L’aver posto in evidenza e problematizzato quei dati e le problematiche che ne discendono, è il contributo di maggior valore che il rapporto di quest’anno offre alla società tutta, alla politica, ai soggetti economici.
Ovviamente qui comincia un altro ragionamento, che non faremo. Concludiamo segnalando  il “ contributo” dato alla discussione dal Ministro Fornero, doverosamente presente. E’ stato imbarazzante. Di fronte a questioni tanto rilevanti per il futuro, la prof. Fornero ha dedicato ogni minuto del suo intervento a ribadire la bontà della sua riforma del mercato del lavoro. (tema che non era affatto in discussione in quel contesto); per di più lo ha fatto ricorrendo alle argomentazioni più bolse, inefficaci e astratte. Chissà se ha capito la rilevanza strategica delle questioni che abbiamo qui richiamato; a mio avviso non c’è da scommetterci.

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