Il ruolo e la natura di un partito di sinistra. Qualcuno lo dica a Renzi

ROMA – La vicenda dei ciechi di guerra  che, come tutti i pensionati post-bellici, il governo vuole tassare, per la prima volta nella storia, indica il punto in cui è giunta sia la crisi italiana sia la solidità del governo.

Quest’ultimo con l’odiosa misura ha mostrato la sua ansia di raschiare anche il fondo più profondo del barile rivelando al tempo stesso l’incapacità di cogliere il limite morale prima ancora che politico della propria azione. Si sono accorti di questo i partiti maggiori che sostengono Monti e che sulla legge di stabilità hanno cominciato ad alzare la voce e soprattutto  a minacciare voti contrari. In particolare questo è l’atteggiamento del Pd che per bocca del suo segretario Bersani ha chiesto modifiche significative sulle misure più inique, tra l’altro tutte quelle sulla scuola, rivelando la propria indisponibilità, altrimenti, a sostenere la manovra. Qualcosa sta cambiando nello scacchiere politico. Non solo in rapporto all’avvicinarsi della scadenza elettorale. Questa ovviamente conta, e anche parecchio. I principali partiti sanno di non potersi presentare di fronte ai cittadini solo con l’ “attivo” del sostegno alle misure più impopolari di Monti. C’è di più. E il di più, per la sinistra, sta nel fatto che la ricetta del governo rischia non solo di immobilizzare il  paese ma soprattutto di far cadere il peso dei sacrifici esclusivamente sulla parte più debole della popolazione. Torna così prepotentemente alla ribalta il classico tema del riformismo, cioè quanto sia distinguibile la fase del risanamento  da quella del rilancio e dell’equità. Il governo Monti, insediatosi dopo il disastro berlusconiano, ha dovuto procedere a tappe forzate e con misure severissime.

Tuttavia era lecito aspettarsi un secondo tempo in cui la crescita e l’equità riprendessero il centro della scena. Non è accaduto. Il governo tecnico non ha finora mostrato una vera capacità di visione in grado di spingerlo verso nuovi traguardi. Monti, anzi, è rimasto prigioniero del mandato che si è autoassegnato, rinunciando in questo modo a indicare le vie d’uscita dalla crisi e sottolineando solo la improcrastinabilità di misure impopolari spesso dettate solo dall’obbligo di fare cassa. Anche il dibattito di queste ore sulle varie riforme previdenziali  fa emergere come il sistema italiano sia stato stressato in modo rapido e spietato per allineare i conti sul metro europeo persino sopravanzando i paesi più virtuosi mostrando così come sia prevalsa nel nostro dibattito pubblico una visione dei processi economici tutta incentrata sui risparmi e senza alcuna allusione agli investimenti e alle condizioni di vita di milioni di persone. Per il Pd si tratta, a questo punto, di affrontare un passaggio essenziale. Il partito non può farsi stringere in una cornice solo ideologica che gli faccia scegliere in astratto se stare o no con l’agenda Monti ma ha bisogno di dire ai propri elettori quali sono i sacrifici ancora da fare e quali sono le strade da percorrere per far camminare economia e società. Se ha un senso lo svolgimento delle primarie con l’indicazione  di un candidato a palazzo Chigi diverso dall’attuale, questo sta nel fatto di disporre di un  programma che mantenga i conti in ordine ma dia sollievo ai ceti più colpiti e dia possibilità di sviluppo al paese. Altrimenti tutto perde valore e non si capisce quale sia il ruolo e la natura di un partito di sinistra. Sono questi i temi che dovrebbero infiammare la campagna per le  primarie. Qualcuno lo dica a Renzi.

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