Bilancio Ue. Di rinvio in rinvio

Lo spettro della crisi economica e l’inerzia burocratica tratteggiano un’Europa incapace di decidere

ROMA – Il Consiglio europeo dello scorso 22 novembre si è chiuso aggiornando all’inizio del prossimo anno la prova delle ambizioni del bilancio pluriennale 2014-20, che il Parlamento europeo sarà chiamato ad approvare; del valore di più di mille miliardi, pari a circa il 2% della spesa pubblica complessiva dell’Unione Europea (UE) ed oltre 45 volte meno delle spese correnti da questa sostenuta, è innanzitutto un bilancio di investimenti, tanto che il 94% degli utili complessivi sono impiegati negli stessi Stati membri o per priorità esterne dell’Unione. Nato con l’obiettivo di supportare il rilancio dell’economia europea e pur magrissimo rispetto alle sue legittime ambizioni, ha comunque un enorme valore sociale, legato al fattore redistributivo delle risorse. L’avvenimento, se così si può dire, è già scomparso dalle cronache economiche e politiche quasi si trattasse di un fatto normale. Ma non lo è e i rinvio non può che suscitare allarme e preoccupazione.

Se l’Europa vuole realmente adottare un piano generale di crescita, allora deve assicurarsi le risorse necessarie: il bilancio Ue è parte integrante della soluzione volta a consentirle di uscire dall’attuale crisi, promuovendo gli investimenti nella crescita e nell’occupazione e aiutando gli Stati membri ad affrontare cambiamenti strutturali come perdita di competitività, aumento della disoccupazione e povertà. I Governi dei 27 non possono continuare ad affidare alla Ue un numero sempre maggiore di compiti tagliandone, nel contempo, il bilancio, perchè ciò equivale semplicemente a chiedere l’impossibile: un’Europa ambiziosa ha bisogno di un bilancio ambizioso. Tutti gli Stati membri ed il Parlamento europeo si sono impegnati ad attuare una strategia di crescita comune, la così detta strategia “Horizon 2020”, ed il Quadro Finanziario Pluriennale ne è lo strumento principale.

Purtroppo il perdurare della crisi economica e l’austerità di bilancio – per non parlare dell’ampio catalogo di interessi nazionali in grado di offuscare qualsiasi visione d’insieme – hanno ostacolato le trattative lasciando in tutti i partecipanti, Italia compresa, la convinzione che anche il prossimo bilancio pluriennale dell’Unione non sarà all’insegna della rivoluzione, limitandosi a ripercorrere una tradizione che continua a privilegiare il finanziamento delle politiche del passato a scapito di quelle del futuro.
Da decenni ormai il modello e l’industria europei perdono quote sul mercato globale a causa della concorrenza cinese ed asiatica, sempre più aggressive; la crisi finanziaria e quella dell’euro hanno portato recessione e disoccupazione, rendendo urgenti riforme e sacrifici sempre più pesanti che penalizzano la crescita, erodendo le speranze nel futuro.

Intervenire sui divari di competitività e sull’uso efficiente del capitale avrebbe effetti molto maggiori sulla crescita europea che non compensare le divergenze di reddito tra paesi; finanziare cioè gli investimenti anziché i consumi, come invece è avvenuto per anni in Grecia. Su questo punto l’Italia ha saputo farsi valere: con una struttura produttiva sotto pressione risulta una delle principali vittime degli errori di concezione del bilancio europeo, tanto da poter vantare la miglior posizione per chiedere che si punti quantomeno a progetti sovranazionali d’investimento.
Sulla stessa lunghezza d’onda il parere del presidente del Parlamento europeo Martin Schulz quando ricorda che «ogni euro investito dalla Ue attrae in media tra 2 e 4 euro di investimenti addizionali, il bilancio non è un gioco a somma zero in cui un paese guadagna ciò che un altro paese perde, genera sinergie di cui beneficiano tutti».
Posizioni e logiche così lontane tra loro da rendere necessario un nuovo vertice ad inizio d’anno, anche se, come ha commentato il nostro Presidente del Consiglio Mario Monti, una mancata intesa sul bilancio «non sarebbe un dramma», visto che c’è tempo fino a marzo-giugno per decidere, anche se pochi credono che il rinvio sarà usato per qualcosa più di un compromesso. Un ottimismo che non ha ragione di esistere.

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