Le panzane degli astuti dietrologi

ROMA – Le campagne elettorali è meglio vincerle che perderle. Non v’è dubbio. Quindi anche la sapienza tattica e una giusta dose di spregiudicatezza stanno nel conto. Ma ci sono limiti che dovrebbero essere da tutti riconosciuti e rispettati; quanto meno da tutti coloro che davvero aspirano a restituire credibilità e nobiltà all’agire politico.

E in una situazione come quella italiana, caratterizzata da una grande pluralità di formazioni politiche in lizza, il primo limite dovrebbe essere costituito dal dovere di dichiarare in esplicito quale sia il progetto politico che si persegue, da parte di ciascuno dei competitori. Non solo i contenuti programmatici fondamentali di cui si è portatori. Non si dovrebbe mai dimenticare, infatti, che la finalità ultima della competizione è il governo del paese, e non, semplicemente, la misurazione del consenso di cui ciascuna lista o ciascun leader godono.
Questa riflessione ci porta alla più stretta attualità. “La paura fa alleanza” scriveva Giannini su ‘la Repubblica’  e altri commenti di questo tenore si possono leggere o ascoltare in queste ore a proposito dei più recenti sviluppi del dibattito pre-elettorale. A me (e forse anche ad altri) è capitato anche di ascoltare “astute” interpretazioni dietrologiche di questo tipo: Bersani è andato in Germania e la Merkel gli ha detto “non fate gli stupidi o rivince Berlusconi, dovete fare l’accordo tu e Monti!”; così Bersani è tornato ed ha subito fatto delle aperture a Monti. Ovviamente a simili rappresentazioni della dialettica pre-elettorale fra il PD e i neo-centristi, corrisponde l’enfatizzazione delle vere o presunte differenze interne al centro-sinistra, cioè fra il PD stesso e SEL. Insomma: ritorna, più o meno in esplicito, il tormentone che ha tenuto banco per molti mesi, e che sembrava aver trovato soluzione con lo svolgimento e l’esito delle primarie del centrosinistra: Bersani deve scegliere fra Vendola e i centristi; il non farlo con nettezza è segno di debolezza ed ambiguità.
Ebbene, che gli avversari enfatizzino contraddizioni, vere o presunte, fa parte delle regole del gioco, ma poiché la questione si ripropone anche in aree di opinione tutt’altro che ostili al centrosinistra, e -come possiamo costatare- attizza molto l’arguzia dei commentatori, vale la pena ribadire due considerazioni, a mio avviso risolutive.

La prima: ma quale ambiguità? Basta sfogliare la raccolta delle rassegne stampa degli ultimi due anni per riscontrare che il PD di Bersani, con rara tenacia, ha quotidianamente ribadito che il proprio progetto politico è imperniato sulla costruzione di una solida coalizione di “centrosinistra di governo”, sulla base di un programma condiviso, che intende proporre convergenze programmatiche per il governo del paese alle forze di centro, autenticamente europeiste e non populiste. Qualcuno può forse smentirlo? Che per lungo tempo l’enunciazione di questi intenti sia stata accolta da ammiccanti segnali di scetticismo che alludevano, appunto, ad una presunta implicita contradditorietà, alla luce di come si sono evolute fino ad oggi le cose dovrebbe far riflettere chi quelle perplessità accreditava. E dovrebbe dimostrare a chiunque che anche in politica si può perseguire un progetto in tutta trasparenza; che si può anche non essere troppo cinici e machiavellici.

In secondo luogo: quale che sia l’esito delle prossime elezioni, anche nel migliore dei casi, quella attitudine del centrosinistra a proporre convergenze programmatiche più ampie andrà mantenuta senza incertezze, perché delle due l’una; o non sono fondate le analisi che ci dicono di una Italia davvero “da ricostruire” in molte delle sue strutture portanti, nell’economia ma anche nel tessuto sociale e nella sua stessa identità nazionale, oppure coinvolgere nell’azione di governo tutte le risorse disponibili è una prospettiva più che auspicabile. Naturalmente mantenendo salde le discriminanti fondamentali: non i populisti di varia foggia, non la destra filo-berlusconiana, non i responsabili diretti dello sfascio di oggi.

Ovviamente ciascuno porta responsabilità per le proprie scelte, non per quelle altrui; è dunque questo strano ircocervo del centro “montiano” che va chiamato a responsabilità, anche nel senso di dire in chiaro all’elettorato quale sia il suo progetto politico. Pensare di cavarsela dichiarando di volere le riforme è un trucco; e ancor più è una intollerabile mistificazione vestirsi dei panni dell’inquisitore che scova gli eretici, sottraendosi al dovere etico di enunciare il proprio progetto.
Non è difficile pensare che la ragione vera consista nel fatto che, al dunque, potrebbe essere proprio la multiforme e variegata -per quanto piccola- compagine centrista ad implodere, a non essere in grado di assumere responsabilità in modo trasparente.
 

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